Di nuovo seduto su quel divano invernale che vestito di un lenzuolo di cotone cerca di fare l’estivo senza grandi risultati.
Una leggerissima brezza si sente nell’aria grazie alle finestre non del tutto aperte per non far entrare il caldo in o far uscire il fresco da casa, e permette l’esistenza degli esseri viventi tra cui il sottoscritto. Steso boccheggio e rubo aria a questa corrente che accarezza la polvere dei mobili immobili, solo il lampadario gira a vuoto senza farsi notare con tutti i suoi 40 watts di timidezza.
Cerco di rimediare ad una notte fatta di sonno superficiale per opposizione a profondo, ma basterebbe dire non vero.
Le palpebre socchiuse e percepisco come i movimenti di ciò che mi sta dentro: un flusso di memorie un po’ oniriche ed impolverate come i mobili vengono a galla in superficie, la mia coscienza sprofonda, finalmente, in un sonno vero, ma basterebbe dire profondo per opposizione a superficiale.
Solo una cosa mi spiazza, l’orologio sul muro eternamente fermo sull’una e trentacinque, forse antimeridiane, ha ripreso a ticchettare e sembra quasi fare compagnia a quel ronzio del frigo che ha tenuto invece a me compagnia per un numero spropositato di notti.
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