nella piazza centrale, lungo uno dei lati di essa, il cartello "sala da barba", con calligrafia pubblicitaria d'altri tempi nero su bianco, salta subito agli occhi, è quasi vetusto. una tenda a treccioline di spago lascia intravedere le sedie da barbiere e le sagome degli abitués, al centro della sala una figura quasi maestosa piegata sul cliente con i gomiti verso l'alto. sposto la tenda con il dorso delle mani e esordisco con un timido buonasera, affronto gli sguardi indagatori dei presenti, ho l'impressione di aver interrotto qualcosa, di aver rovinato l'armonia, persino quella figura che intravedevo da fuori, cambiando la sua posizione eterna, ora mi squadra. non ha l'ombra di un pelo sul volto, ha movimenti rapidi e precisi anche nel camminare, una ruga in mezzo agli occhi tra fronte e naso, gli conferisce l'espressione seria e sicura di colui che fa la barba agli altri. indossa il grembiule da lavoro e la pelle, dal pomo di adamo, scende in una cascata, due flussi di epidermide scivolano fino alla base del collo strozzato da una cravatta nera con cerchietti rossi e dorati, l'impressione, rafforzata dal labbro superiore appuntito, è che abbia fuori la testa dal guscio, come una tartaruga. lo sguardo è intenso insieme al colore castano degli occhi, sulla mano destra un anello in oro giallo troneggia sull'anulare, fra qualche minuto intravederò lo scintillare di quell'anello mentre il rasoio scorrerà sulla mia faccia. i capelli sparuti dal colore candido, come fili di nuvole stanno sul capo rotondo. la luce al neon tenuto da una catena che si biforca scendendo verso il basso, illumina la stanza: un lato composto da specchi ampi, di fronte due sedie da lavoro, il soffitto a volta, alto ed immobile, la radiocronaca delle partite di serie b conferisce all'ambiente un suo tempo, un cliente seduto attende il suo turno sfogliando "cronaca vera" e cerca di esporre la teoria secondo la quale l'ora legale sortisce effetto su chi studia e non su chi va ib campagna. resto in rispettoso silenzio ascoltando e osservando lo spettacolo di autenticità che mi si compie davanti agli occhi.
mentre mi rilassavo col capo riversato all'indietro, così come le pupille negli occhi socchiusi. i piedi sul poggia-piedi alto e comodo, una domanda mi è giunta come una lama di ghigliottina sulla nuca, mi ha riattaccato alla realtà che avevo abbandonato pensando di essere chissà dove e chissà in che anno-"sei forestiero?"- scuoto il capo in senso negativo-"e a chi sei figlio?".
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1 commento:
mi sento di consigliarti quello in piazza delle erbe.
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