martedì 21 settembre 2010

questo blog è chiuso.
ringraziamenti, baci ed abbracci per tutti.

lunedì 26 luglio 2010

Costa Morena

Caro diario,

sono in una terra in fermento, tutto si muove. sembrerebbe che anche le pietroline che compongono l'asfalto non hanno più voglia di restare dove sono, cioè nell'asfalto per terra, e vorrebbero cambiare posizione nel mondo urbano dei compaesani.

si sente da un lato una spinta forte ed emozionante nella quale alcuni sperano, dall'altro un pò di rassegnazione per quel blob che, incorporando le proprie vittime ad ogni suo passaggio, diviene sempre più grande.

volevo anche dirti, caro e stimato diario sempre pronto ad ascoltarmi, che l'altro giorno mi sono avventurato sulla costa a nord della centrale federico secondo di cerano. se mai dovesse capitarti, facci un giro, è quasi un dovere che si ha nei confronti della propria residenza. non c'è un granché da vedere, si tratta di una "no mans land", impianti chimici e scarichi molesti che scaricano molestamente nel mare sostanze che, se ricordo bene, mi è stato detto chiamarsi mutagene, nel senso che a contatto con altre forme di vita ne modificano i loro geni, e poi è tutto un casino.

ettari ed ettari di terra abbandonati insieme ai loro casolari per i quali non sapere il nome mi fa un pò vergogna; eppure io vengo da questa terra, io ce l'ho una terra! troppo grande la tentazione di immaginare come fosse fiorente e bella un tempo..

stranamente ascoltavo in macchina un pezzo che mi diceva "se t'inoltrerai/lungo le calate/dei vecchi moli", beh, mi sono inoltrato, ho visto una laguna, tanti isolotti che sarebbero potuti essere meravigliosi, ma invece colonizzati da attrezzature, macchinari, impianti, moli e pescatori che pescano in quei moli con tanto di interdizione alla pesca, alla mollusco coltura (in sostanza cozze), alla balneazione e, in alcune zone, anche alla respirazione dell'aria.

cartelli con divieti d'accesso in zone militari, telecamere sicuramente non funzionanti, desolazione, una palla rossa che a ovest inizia ad arrossirsi dipingendo uno dei tramonti più macabri cui abbia mai assistito.

tanta gente lavora dentro questi impianti tipo detroit, tanta gente magari non è poi così felice di lavorarci dentro. la spinta del sistema sta portando le aziende a ricominciare il ciclo di sviluppo in territori che ancora non lo conoscono, tipo albania o senegal, quasi a dire che qui non c'è più molto da fare, non conviene più produrre. ringraziamoli, hanno elevato il nostro standard economico pro-capite e martoriato la nostra costa facendo qualcosa alla cazzo di cane. la questione è più o meno sempre la stessa, pensarci prima.

bref, non voglio cadere nei soliti giri di parole, caro e stimato diario perchè sono cosciente che in quel caso smetteresti di essere il mio diario, volevo essere sicuro di lasciare un segno da qualche parte di ciò che ho visto, possibilmente stimolare la curiosità di qualcuno a spingersi verso quei luoghi.

da parte mia, non l'avevo mai fatto in 26 anni di vita ed adesso che ho incartato tutte queste parole, posso finalmente concludere con quelle semanticamente più adatte:
scioccante-sconvolgente-macabro-che fa innervosire-che ci mette a confronto con l'impotenza di fare qualcosa- offeso-raggirato- si promette si mantiene a volte- scombussolante-nascosto- sterminato- sgarrupato- incolto-ribrezzo- incazzato- andate a fare in culo tutti, ma proprio tutti!

giovedì 22 luglio 2010

in ferie dalle ferie in fìeri

Di nuovo seduto su quel divano invernale che vestito di un lenzuolo di cotone cerca di fare l’estivo senza grandi risultati.
Una leggerissima brezza si sente nell’aria grazie alle finestre non del tutto aperte per non far entrare il caldo in o far uscire il fresco da casa, e permette l’esistenza degli esseri viventi tra cui il sottoscritto. Steso boccheggio e rubo aria a questa corrente che accarezza la polvere dei mobili immobili, solo il lampadario gira a vuoto senza farsi notare con tutti i suoi 40 watts di timidezza.

Cerco di rimediare ad una notte fatta di sonno superficiale per opposizione a profondo, ma basterebbe dire non vero.
Le palpebre socchiuse e percepisco come i movimenti di ciò che mi sta dentro: un flusso di memorie un po’ oniriche ed impolverate come i mobili vengono a galla in superficie, la mia coscienza sprofonda, finalmente, in un sonno vero, ma basterebbe dire profondo per opposizione a superficiale.

Solo una cosa mi spiazza, l’orologio sul muro eternamente fermo sull’una e trentacinque, forse antimeridiane, ha ripreso a ticchettare e sembra quasi fare compagnia a quel ronzio del frigo che ha tenuto invece a me compagnia per un numero spropositato di notti.

giovedì 1 luglio 2010

!

questo blog è in ferie.

sabato 12 giugno 2010

le trasparenze di enza

ivo camminava per il lungo lago, osservava la gente ed il loro modo di camminare, di vestirsi, di sorridere, di tenersi per la mano o prestare attenzione ai piccoli che trotterellavano intorno.

si divertiva ad indovinare chi fra la gente ferma in dei punti strategici lungo il parchetto della riva ovest del lago fosse un pusher. cercava di capirlo dalla postura, dal modo di guardare i passanti prima che fossero loro stessi ad annunciarsi con un inconfondibile movimento del capo o schiocco della bocca, delle labbra, come se stessero richiamando un gatto.

si sentiva che sentiva guardando la città che galleggiava fra l'azzurro del lago e l'azzurro del cielo, la città "flottante" che offriva come massime punte della sua architettura i due campanili della cattedrale protestante.

la tranquillità fu turbata dall'ancheggiare di una donna, quasi elegante, con un vestitino verde appiccicato addosso che lasciava trasparire le forme del suo corpo che, detto tra noi, non era neanche un granché, tuttavia si faceva notare: i capelli sulle spalle, le scarpe aperte, i seni generosi come la scollatura, l'aderenza del vestito che lasciava poco spazio all'immaginazione, specie se in controluce. la battezzò enza per via dell'assonanza con trasparenza.

il suo corpo scoperto e la reazione degli ancora assopiti occhi dall'invernata coperta, quelle forme ancheggianti, quella civetteria visiva che durante la stagione fredda non era altro che rumore di tacchi e dunque civetteria uditiva - per inciso vi dico che non v'è nulla al mondo che civetta di più del rumore dei tacchi in quanto tale - lo scossero, lo agitarono.

guardando il jet d'eau che si issava a 120 metri o forse più, capì che presto, come per tutte le cose, si sarebbe abituato anche alla vista di eventuali e future trasparenze di eventuali e future enze..

martedì 1 giugno 2010

la festa della repubblica italiana

allora occorre un attimo intendersi.
domani è la festa della repubblica, salvo confusioni con il 25 aprile, ma ne sono abbastanza certo, domani è la festa della Repubblica Italiana.

Mi sento italiano assai, mi sento italiano all'estero, ecco perché mi sento italiano. è la solita storia che le cose le capisci solo quando non le hai più, e non intendo sviluppare oltre l'argomento, potrebbe portare a dei pipponi di cui non voglio essere fautore, sostenitore e/o vittima.

però è vero che da un punto di vista internazionale facciamo abbastanza cagare, visto come stanno le cose a casa nostra, ma questo lo lascio dire a chi ne capisce e si occupa di queste cose. per quasi tutto quello che pensi, spesso, c'è sempre qualcuno che lo ha già pensato oppure, addirittura, che per lavoro pensa, analizza e dice, utilizzando vari metodi di comunicazione, quel qualcosa che tu pensi essere un divano su cui accomodarsi, spaparanzarsi e guardare la gente che non ha capito, o magari che semplicemente se ne frega ed ha il buono o cattivo gusto di compiacerti.

qui stiamo parlando delle certezze, dei luoghi del sapere che per quanto sono risaputi, sono diventati comuni. così si può parlare di "Piazza Italia che va a rotoli"che con il tempo i cittadini hanno incominciato ad abbreviare con un semplice Piazza Italia. I meccanismi di evoluzione dei concetti, delle parole, dei modi di pensare mi spaventano perché sono incerti, imprevedibili.

se riseco a tirare le somme di questo sfogo pomeridiano, dovrebbe saltar fuori una cosa di questo genere che, in quanto io appartenente ad una cerchia sociale sicuramente categorizzabile, mi prendo la libertà di pluralizzare:

le certezze sono molto comode ma per un cazzo interessanti, spesso annoiano e ti rammolliscono il cervello.
le incertezze sono affascinanti, ma spaventano in quanto imprevedibili e scomode.

sviluppando ulteriormente diviene:
le certezze sono dei materassi ad acqua, le incertezze sono dei puff.

venerdì 21 maggio 2010

mi manca un Mi, o forse è La minore

stasera o stamattina, non fa poi tanta differenza, vorrei parlare del mio rapporto di amore odio con le biblioteche.

le ragioni di odio surclassano quelle dell'amore in quantità, ma il secondo è un sentimento più nobile e quindi, anche se in minoranza, oppone una forte resistenza qualitativa.

partiamo dal presupposto che se sei in una biblioteca per dovere sei già scazzato.

ve ne sono alcune, abbastanza grandi, nelle quali se cerchi un libro per consultazione o addirittura per prenderlo in prestito, devi rispettare degli orari del tipo entro le e venti di ogni ora devi richiedere il testo che ti serve ed a e venti dell'ora successiva ti sarà consegnato tra le mani. le biblioteche più sofisticate, quelle che se la tirano, hanno addirittura un tabellone con i numerini che si illuminano e, se il numero che hai tra le mani che ti è stato dato al momento della richiesta si illumina, vuol dire che devi recarti al bancone per ritirarlo.

altre invece, meno esagerate, propongono la stessa qualità bibliografica ma richiedono di andarti a prendere da solo i volumi ricercati fra gli scaffali che si distendono davanti a te, a perdita d'occhio, come ordinati e selvaggi pannelli solari.
ora se le biblioteche del primo tipo ti spezzano il ritmo, quelle del secondo hanno anche loro i loro lati negativi.

ciò che voglio raccontarvi ha a che fare con le biblioteche del secondo tipo.

tradizione vuole che quando ricerchi un volume devi recarti alla apposita colonnina informatica della banca dati per interrogare il sistema e vedere se il volume che ti interessa è presente oppure, altre volte, per saggiare semplicemente l'offerta della biblioteca rispetto all'argomento che devi o, nelle migliori delle ipotesi che non appartengono a questo mondo sensibile, vuoi trattare.

capita che trovi il volume che ti interessa e devi giusto o stamparti la pagina, ma la coda alle stampanti è sempre consistente, oppure riportare sul primo pezzo di carta che ti ritrovi gli estremi di ciò che cerchi, sovente una serie di numeri e lettere abbastanza incomprensibili. capita a volte che il suddetto pezzo di carta non sia nelle prossime vicinanze del tuo corpo ed allora trascrivi l'identificativo sulle mani, sudate in maniera direttamente proporzionale allo scazzamento, ed è difficile, visto il presupposto da cui siamo partiti, che esse non siano sudate.

sei accurato, riporti tutto od almeno credi, ti rechi allo scaffale dopo una ventina di minuti di passeggiata disorientata fra volumi di tutto il mondo e ti accorgi che alle coordinate che hai riportato sulla tua mano corrispondono una cosa come cinquanta volumi. tenti la fortuna, capisci di non essere fortunato, ti accorgi della grandezza dell'impresa che hai intrapreso, e ti rechi sconfitto nuovamente verso la colonnina della banca dati.

scopri abbastanza contrariato che sarebbe bastato ricordarsi di riportare "J KOT" e avresti già avuto il tuo volume tra le mani. Altre volte succede con l'anno che, non si sa per quale connessione sinoptica il tuo cervello ha deciso che sia 2004 ed invece il volume che cerchi è del 2005.

dopo la verifica, trionfante ti rechi allo scaffale e scorri aiutandoti con l'indice i volumi alla ricerca di CA/CH blblblà J KOT. ovviamente il volume che ricerchi non c'è ed è il terzo che cerchi e che non è fra gli scaffali. provi non perderti d'animo, esci a fumare una sigaretta di decompressione, lasci che la riflessione, classica di chi scopre che qualcuno stia potendo fare la stessa cosa che stai facendo tu ed offensiva del proprio ego per un difetto di unicità che può derivare dalla possibile replica di ciò che fai per il tramite di qualcun altro, ti sfiori debolmente senza lasciare troppo il segno.

rientri dal cortile riservato alle sigarette con il solo volume trovato sui quattro ricercati e ti incammini verso il tuo banco ricoperto di fogli come un puzzle da comporre.

è tardi, hai l'illuminazione di fotocopiare le parti che ti interessano perché, ovviamente, è quasi impossibile che il libro che ti interessi non sia escluso dal prestito. comunque ciò che importa è che, nell'eventualità avessi potuto prenderlo in prestito, avresti comunque dovuto lasciare le pagine immacolate ed intonse, perché sei una persona civile ed hai rispetto per i posteri che poseranno sulle medesime pagine i loro occhi ed attiveranno le loro meningi per effetto degli stimoli visivi suscitati dalla combinazione di segni stampati sulle medesime pagine. ti auto-convinci della validità e necessità di fotocopiare le parti del libro che ti interessano.

ti alzi soddisfatto noncurante dell'orario e di qualsiasi riflessione sull'impiego effettivo del tempo, dopo tutto anche le partite di calcio durano 90 minuti ma il tempo effettivo di gioco non supera mai i 40 minuti.

entri nello stanzino della fotocopiatrice ed hai l'impressione di essere in un film di sergio leone dalla colonna sonora che risuona fintamente nelle orecchie e si materializza nei sibili della tua bocca semiaperta.
ti fai coraggio, apprezzi la grandezza del libro che hai fra le mani e decidi bene di impostare il mostro meccanico con una riduzione della pagina al 93%, basterà ti dici. invece scopri che no. concedi alla tua pazienza altri 6 punti percentuali e ti accorgi di nuovo che non basta, mancano sempre delle lettere. decidi di tributare alle mancate potenzialità della fotocopiatrice qualche decimo della tua vista in cambio di una riduzione al 70%. ti senti offeso di controllare, basterà ti dici di nuovo imponendoti di non controllare! fai le trenta pagine di fotocopie che ti servono e, solo alla fine, dopo circa 45 minuti passati davanti all'infernale aggeggio, scopri che le pagina fotocopiate, oltre che scarsamente leggibili per via della risoluzione, mancano sistematicamente delle prime 4 lettere di ogni riga in senso verticale.

provi a mantenere la calma e ti dici, a quel punto, che hai il diritto di mandare tutto a cagare e di rimandare le operazioni al giorno dopo confidando nel fatto che la notte porta consiglio e visualizzandoti il mattino dopo, alle otto in punto, fresco di letto, nuovo lì: tutto andrà per il verso senza nessun problema, perché a quel punto avrai più esperienza.

capita spesso che gli esseri umani si dicano lo farò domani, e la cosa non sorprende, ma il fatto che lo facciano fiduciosi che il giorno dopo tutto sarà diverso è abbastanza irrazionale, fatto sta che funziona.

te ne vai ed hai una gran bella festa cui presenziare quella sera e, anche se la riduci al 70%, sarà altamente improbabile che la mattina dopo, alle otto in punto, sarai di nuovo lì, perché fondamentalmente è in dubbio anche il solo fatto che ti sveglierai, il giorno dopo, di mattina.

e come recita rossella 'hoara- e segnalo che all'estero il suo personaggio si chiama scarlett -: dopo tutto, domani, è un altro giorno.

lunedì 17 maggio 2010

rassegna rassegnata, nessune dimissioni

ammetto di essere rimasto un pò deluso, gli occhi appiccicati e il caffé sul fuoco, mentre le pagine di repubblica, corriere, il sole ed il giornale (è bene sempre avere una visione più ampia), apparivano sullo schermo.

il governo non è caduto, ma giuro che ieri sera, dai titoli sembrava un buon preludio, ma nulla.

campeggiavano dappertutto titoli ed immagini sull'Afghanistan: non ho le competenze e la preparazione per parlarne e quindi ci stendo sopra un rispettoso e preoccupato no comment.
Ero interessato soprattutto alle questioni interne ed ho trovato qualche sporadica referenza ad una storia di pensioni ed alla ritardata possibilità di affaciarvisi dentro, sarebbero queste le finestre, e vorrei sottolineare che "porte" forse sarebbe stato più appropriato, ma meno figo. lo scudetto all'inter, ma non ne vale più la pena di guardare le fotostorie del campionato o addirittura le immagini perché durante il campionato se ne fa indigestione, non voglio entrare nel merito di discussioni sportive che francamente mi annoiano. l'euro e la sensibilità emozionale dei mercati, perché questo è il problema e questa è la sua delizia, il fatto che la gente pensi che se si immettono dei fantastiliardi per rattoppare una situazione che sta degenerando sia una cosa che dura un giorno, o che dico, tre ore.

ho passato varie notizie in rassegna, alcune personalmente meno interessanti perché non apportavano nulla di nuovo a quello che già dicevano, thailandia, petrolio, nadal che batte federer a madrid, la nube che ha stancato, l'uranio in turchia ed il presidente iraniano che mi fa ribrezzo, ma è un diritto che si ha di fare ribrezzo agli altri, ed a volte anche a se stessi.

una cosa l'ho trovata di interessante, la natura umana ti riserva sempre delle sorprese, all'unanimità fra l'altro..

giovedì 13 maggio 2010

meterepatia, quanti neuroni mi porti via

come ogni spirito umano fa quando si protrae una situazione che sta, perdonate il termina ma ci sta, sul cazzo, mi chiedo se non sia una maledizione, se non ci sia in atto una congiura, se qualcuno o qualcosa ce l'abbia con me.

ora mi si dovrebbe spiegare come mai è da tre, dico tre, settimane che puntualmente al mattino, a qualunque ora, magari nel fine settimana nel pomeriggio, quando mi sveglio, vado per aprire la tenda, di cui vi parlerò fra breve, e scopro delle pozzanghere d'acqua sul balconcino, e mi incazzo, per poi terminare l'incazzatura volgendo gli occhi al cielo ed assumendo, senza nessuna aria di sorpresa, l'espressione facciale de "ma andate a cagare voi le nuvole e tutto il resto!".

una piccola parentesi sulle tende: quelle che ho qua sono una meraviglia della tecnica, dall'interno hai un braccio meccanico che ti permette di tirarle su o giù e, soprattutto, di cambiare l'angolazione delle strisce di cui sono composte, per fare entrare o meno la luce da fuori, con un semplice movimento rotatorio quando oramai sono completamente dipanate lungo la superficie della finestra e sono chiamate a svolgere la loro funzione di tende.
sto cercando sul vocabolario il nome di questo tipo di tende e gli affari di cui sono composte, ma non sto trovando nulla, proverò a descriverle: sono fatte da tante strisce di una lega non meglio identificata, abbastanza flessibile, e fra una striscia e l'altra intercorre dello spazio, l'unica cosa continua sono i fili alle due estremità. avete capito? il prototipo è quello delle case della nonna o, per i meno fortunati, delle proprie case, per l'uso del quale è necessario un corso intensivo perché l'inclinazione giusta per far ritornare giù la tenda è qualcosa che si può apprendere solo dopo anni ed anni di esperienza; al posto del mio attuale braccio meccanico ci sono due fili, a volte legati insieme alla fine da un nodo plurimo direttamente proporzionale al tempo di utilizzo ed inversamente proporzionale all'età delle mani che utilizzano la tenda. si faceva e si fa, perché ne esistono ancora, tutto attraverso quei due fili, tiri su, tiri giù, inclini, tutto in base all'angolo di apertura del tuo braccio rispetto al punto da cui discendono i due fili. altra cosa odiosa è rumore che produce lo strofinio delle strisce contro i muri nelle giornate di tramontana o forte scirocco, da accapponare la pelle. mi successo in passato di accanirmi contro quelle tende a mezzo pallonate, ma era tutto inutile, con un semplice tocco le strisce ritornavano uguali, il segreto stava e sta nel materiale (un materiale simile che mi viene in mente è: vi ricordate quei braccialetti semi-rigidi che a contatto con il polso si arrotolavano su se stessi e che probabilmente poi vennero interdetti dalle istituzioni europee perché ad un certo punto ci furono non so quanti bambini che si tagliavano fisso i polsi con le vene dentro e tutto il resto? insomma tipo così..). per me, comunque, il funzionamento di quelle tende rimane un mistero e, se qualcuno abita in case con quel tipo di tende, devo davvero fare uno sforzo per entrarci.

Ritornando al discorso iniziale, digressioni permettendo:
cerco quindi di sbollentare l'incazzatura mattutina con il benessere causatomi dall'avere io delle tende semplici da usare, ma non basta, come non basta il caffé e tutto il resto. prima di gettarmi a piene meningi nella giornata, mi ripeto che non sono metereopatico, che se sono ostile verso il mondo non è perché è da tre settimane che non fa altro che piovere - che da un punto di vista logico è una situazione nella quale non cambia nulla come se da tre settimane ci fosse sempre il sole senza variazioni, ma il mito della logicità e della razionalità è tramontato con l'umanesimo, quindi lasciamolo stare nel passato - ma è perché, che ne so, ho dormito male: otto ore sono state troppe (altra spudorata cazzata che provo a ripetermi senza crederci tanto e che prima o poi la si dovrà finire con questa storie che il troppo sonno fa male!). Per di più non ho neanche la piccola consolazione del "tempo di permanenza esatto del biscotto del latte in modo che non si rompa e lo si perda irreparabilmente nella tazza" perché è un tipo di colazione invernale quella, il suo corrispettivo estivo, "il tempo di permanenza esatto della frisella nell'acqua in modo che non si sponzi troppo" è un'attività crepuscolare e, diciamocelo, che cazzo di crepuscolo è se è sempre tutto grigio? e poi, a quel punto, che consolazione è se sei quasi arrivato in fondo alla giornata?

oggi comunque qui è come se fosse domenica, si festeggia la pentecoste, una festa inizialmente ebraica e poi cristiana, una festa mobile come le tende, che cade dopo cinquanta giorni dalla pasqua e, visto che anche la pasqua è mobile, hai bisogno di una formula algebrica che tenga conto dell'altezza o della bassezza della pasqua per calcolare quando cadrà, tenendo ben presente che se la prima viene buona, verrà buona anche la seconda.

domenica 9 maggio 2010

sabato 1 maggio 2010

per fare tutto ci vuole un fiore


foto rizzo

pensavo ai fiori ed al modo in cui colorano il posto in cui sono. ne ho visti qua e là fra le aiuole cittadine, principalmente tulipani semi schiusi sparsi in gruppetti fragilmente uniti alla terra di vasi sopraelevati. hanno un modo strano di stare in piedi i fiori: più sono belli e più si piegano sotto il loro peso.
il vento li scuote ed il sole li scalda, poche narici si posano per sentirne l'odore e solo alcuni hanno un odore che possiamo percepire.

troppo facile e forse banale il parallelo con le persone: più ti sviluppi è più quello che fai aumenta il peso delle tue responsabilità. se cerchi di fiorire nella stagione o nel luogo sbagliato rischi di farti male, se non fiorisci perché non ti va di fiorire nessuno se ne accorge. se tutto è pronto per fiorire qualcosa può fare cortocircuito nel collegamento fra volere e potere.
l'unica differenza è che i fiori non hanno una coscienza per dirsi che avresti dovuto o potuto, non hanno una coscienza per portarsi dentro qualcosa che non si può fare e che vorresti fare ma in realtà non farai mai perché semplicemente non la puoi più fare. i fiori non parlano, i fiori rispondono alle leggi della natura ed alle sincere ingiustizie degli uomini, non a quelle travestite di giustizia cui noi dobbiamo rispondere.


le aiuole in cui ti ritrovi sono fondamentali, l'allevamento da cui provieni lo è parimenti. se ci pensi "aiuole" è l'unica parola che contiene tutte le vocali: un sistema finito: il mondo in cui viviamo.
ogni vocale è un elemento, così c'è anche spazio per il quinto elemento, che non ho mai capito cosa sia così come il sesto senso. a tal proposito i fiori femmina mi sapranno dire qualcosa. (related item)

ci sono molti, altri parallelismi da fare, ma forse non mi va di fiorire adesso, forse ho bisogno di acqua per continuare, forse il terreno non è adatto a questo tipo di fioritura e così via..

..dimenticavo un'ultima cosa, un'altra differenza mi pare, quella che mi piace di più:

i fiori odorano comunque, anche se non si lavano.

domenica 18 aprile 2010

i cieli e la terra sono pieni della tua gloria

da un annetto a questa parte ho sviluppato la sindrome da biglietto aereo on line. è più forte di me, non riesco a cliccare su quel maledetto "confirm" se tra l'acquisto ed il momento del volo intercorrono dei tempi superiori a due giorni.

mi sono impegnato, ho provato a pianificare anche e soprattutto perché questa sindrome mi ha causato e mi causa delle spese maggiori, e non di poco. mi consolo almeno con le valigie occupandomene, ovviamente, all'ultimo secondo.

poco tempo fa si è presentata un'occasione da non lasciarsi sfuggire per provare a guarire dall'insana ed antieconomica sindrome: seppi con un mese di anticipo che alla tal data avrei dovuto necessariamente essere nel tal luogo alla tal ora con un grado di certezza molto alto. bene, mi dissi cercando fra i siti delle varie compagnie aeree la migliore soluzione come comodità e prezzo. bene, mi dissi dopo aver inserito il numero di carta di credito ed il CVV negli appositi riquadri. mi feci coraggio e cliccai su quel "confirm", la banca mi chiese come informazione di sicurezza la data di nascita, la inserii con le mani tremanti, tutto emozionato dall'impresa che stavo compiendo: avevo comprato un biglietto aereo con quasi un mese d'anticipo, e non un biglietto normale, ma a/r. potevo ritenermi guarito?

la data si avvicinava ed io ero soddisfatto del mio affare.
ad un certo punto salta fuori una nube da un vulcano islandese dal nome impronunciabile. è altamente probabile che a causa di questa nube tutti i miei sforzi di guarire dalla sindrome vengano vanificati: non si vola almeno fino a lunedì! mi resta qualche giorno per affidarmi alla tanto cara incertezza, ma in cuor mio so che ricadrò nella sindrome dall'altezza di diecimila piedi.

da una breve ricerca che non vuole essere ne pretendere di essere scientifica, ma relativamente fondata, scopro che, in passato, l'attività vulcanica dell'isola islandese ha contribuito molto ad i vari eventi storici del continente europeo. l'ultimo episodio in ordine di tempo risale ad un eruzione del 1783. un altro vulcano d'islanda, con un nome più pronunciabile stavolta, Laki, iniziò ad eruttare da alcune fessure a causa del contatto della lava con le acque sotterranee ed emise un sacco di fumo misurato con unità di misura mai sentite nelle quali la parola 'tonnellata' figura talvolta, ma è un parametro che va moltiplicato a dei numeri con più di 3 zeri. questa nube gigante, relativamente più consistente di quella che staziona attualmente sul vecchio continente, ma più piccola di quella causata dall'eruzione di altro vulcano dal nome di battesimo impronunciabile nel 934 d.C., stazionando per i successivi tre quattro anni nell'atmosfera, si mise a modificare il clima interponendosi fra la crosta terrestre ed il sole. l'estate del 1783 smise di essere estate, l'inverno che le succedette fu storicamente uno dei più freddi mai registrati, anche in nord America.
Tutte queste modificazioni della temperatura ebbero gravissime conseguenze sui raccolti e l'agricoltura del tempo. molte nazioni riuscirono a tirare avanti grazie alle scorte alimentari. Nel 1788, però, la storia della francia si incrocia con quella del vulcano Laki. la penuria delle derrate alimentari contribuì in maniera significativa al fervore rivoluzionario dell'allora ancora per poco monarchia francese. in un anno, infatti, nel 1789, scoppiò la rivoluzione francese di un popolo affamato di cibo e di libertà.

non voglio andare oltre, altrimenti totino, caro amico, non legge tutto il post, dice che sono un pò troppo lunghi e non gli va di leggerli completamente.
arrivo al punto allora: se l'unica volta che supero il mio complesso da biglietto on line si presenta un evento geologico-atmosferico che non si verificava da più di duecento anni e che affonda le sue radici in uno degli avvenimenti maggiori della storia dell'uomo moderno e che renderà vano il mio sforzo terapeutico e con ogni probabilità mi obbligherà al pippone ferroviario mai fatto prima - ed in quel caso mio cugino angeloantuan mi farà un baffo (aivoglia ad andare su e giù da pordenone)- chi cazzo mai farà, se non per me stesso almeno per rispetto verso l'umanità,
un biglietto d'aereo con più di due giorni di anticipo sulla partenza?

se le cose dovessero andare come è molto probabile che vadano, un mezzo gaudio c'è da qualche parte: io e luigi XVI abbiamo qualcosa in comune.

venerdì 16 aprile 2010

certificazione

di professione faccio il distributore di certificati verbali di complimenti. mi occupo di far stare bene la gente, a volte sinceramente, altre prendendola per il culo.

la teoria del complimento fa bene all'umanità ed io la professo in ogni dì, in ogni dove e nelle lingue che me lo permettono. fa bene sentirsi dire ciò che si vorrebbe ascoltare, fa bene rovesciare i punti di vista altrui e provocare un sorriso.

non è un lavoro che rende da un punto di vista economico, né a me poiché lo faccio gratis, né allo stato in cui la esercito poiché non vi sono marche da bollo da pagare. anche se ho innumerevoli anni di carriera alle spalle, non posso chiedere "la disoccupazione" quando non sono in vena, non posso mettermi in malattia e, qualora mosso dalla coscienza volessi comunque lavorare da malato, non avrebbe tanto senso: i medici non hanno bisogno di certificazioni verbali di complimenti, ne hanno piene le orecchie.

ciò che mi turba, invece, sono le autocertificazioni.

detto questo, vi lascio che ho da lavorare: vi amo tutti, siete fantastici!

lunedì 12 aprile 2010

costa morena

Caro diario,

sono in una terra in fermento, tutto si muove. sembrerebbe che anche le pietroline che compongono l'asfalto non hanno più voglia di restare dove sono, cioè nell'asfalto per terra, e vorrebbero cambiare posizione nel mondo urbano dei compaesani.

si sente da un lato una spinta forte ed emozionante nella quale alcuni sperano, dall'altro un pò di rassegnazione per quel blob che, incorporando le proprie vittime ad ogni suo passaggio, diviene sempre più grande.

volevo anche dirti, caro e stimato diario sempre pronto ad ascoltarmi, che l'altro giorno mi sono avventurato sulla costa a nord della centrale federico secondo di cerano. se mai dovesse capitarti, facci un giro, è quasi un dovere che si ha nei confronti della propria residenza. non c'è un granché da vedere, si tratta di una "no mans land", impianti chimici e scarichi molesti che scaricano molestamente nel mare sostanze che, se ricordo bene, mi è stato detto chiamarsi mutagene, nel senso che a contatto con altre forme di vita ne modificano i loro geni, e poi è tutto un casino.

ettari ed ettari di terra abbandonati insieme ai loro casolari per i quali non sapere il nome mi fa un pò vergogna; eppure io vengo da questa terra, io ce l'ho una terra! troppo grande la tentazione di immaginare come fosse fiorente e bella un tempo..

stranamente ascoltavo in macchina un pezzo che mi diceva "se t'inoltrerai/lungo le calate/dei vecchi moli", beh, mi sono inoltrato, ho visto una laguna, tanti isolotti che sarebbero potuti essere meravigliosi, ma invece colonizzati da attrezzature, macchinari, impianti, moli e pescatori che pescano in quei moli con tanto di interdizione alla pesca, alla mollusco coltura (in sostanza cozze), alla balneazione e, in alcune zone, anche alla respirazione dell'aria.

cartelli con divieti d'accesso in zone militari, telecamere sicuramente non funzionanti, desolazione, una palla rossa che a ovest inizia ad arrossirsi dipingendo uno dei tramonti più macabri cui abbia mai assistito.

tanta gente lavora dentro questi impianti tipo detroit, tanta gente magari non è poi così felice di lavorarci dentro. la spinta del sistema sta portando le aziende a ricominciare il ciclo di sviluppo in territori che ancora non lo conoscono, tipo albania o senegal, quasi a dire che qui non c'è più molto da fare, non conviene più produrre. ringraziamoli, hanno elevato il nostro standard economico pro-capite e martoriato la nostra costa facendo qualcosa alla cazzo di cane. la questione è più o meno sempre la stessa, pensarci prima.

bref, non voglio cadere nei soliti giri di parole, caro e stimato diario perchè sono cosciente che in quel caso smetteresti di essere il mio diario, volevo essere sicuro di lasciare un segno da qualche parte di ciò che ho visto, possibilmente stimolare la curiosità di qualcuno a spingersi verso quei luoghi.

da parte mia, non l'avevo mai fatto in 26 anni di vita ed adesso che ho incartato tutte queste parole, posso finalmente concludere con quelle semanticamente più adatte:
scioccante-sconvolgente-macabro-che fa innervosire-che ci mette a confronto con l'impotenza di fare qualcosa- offeso-raggirato- si promette si mantiene a volte- scombussolante-nascosto- sterminato- sgarrupato- incolto-ribrezzo- incazzato- andate a fare in culo tutti, ma proprio tutti!

venerdì 9 aprile 2010

il catetere

gli succedeva sempre al momento di mettere i calzini, sentiva suonare il claxon là fuori. era quasi pronto, metteva le scarpe e scorreva via attraverso la porta andando incontro ad una macchina con almeno tre persone dentro.

andava a fare un giro.

non vi è mai stata espressione che racchiudesse così tanti significati in così poche parole (cinque per l'esattezza, ammettendo che "a" e "un" siano due parole).

mentre passava per, forse, la terza volta dallo stesso punto della circonvallazione - tangenziale per chi ci segue da agglomerati urbani abbastanza consistenti - intravide la luce accesa di uno stabile sulla destra, verso il paese. capì che si trattava dell'ospedale, vide la stanza diafana con un tavolino-tipo-ospedale, due sedie e due infermiere incarne. la bionda diceva alla bruna che per fare un buon risotto agli asparagi occorreva cuocere il riso aggiungendo gradualmente il brodo fatto dai gambi inutilizzati degli asparagi .

erano nel reparto rianimazione, avevano il turno di notte e vegliavano su quattro corpi che impugnavano medicalmente il trapezio della vita e volteggiavano sopra il baratro della morte, senza rete di protezione.

la mattina prima, al tipo del letto numero due, avevano tolto il catetere, un aggeggio che si infila nell'uretra e quando si fa pipì il liquido scivola via direttamente in una bustina contieni-pipì posta per terra.
il tipo del letto numero due, quella stessa mattina, aveva RIcominciato ad assumere acqua allo stesso modo dei suoi simili e cioè bevendola.

il tipo del letto numero due, invece di chiamare con il campanello l'infermiere perchè gli portasse il pappagalo ogniqualvolta avesse avuto bisogno di svuotarsi la vescica, si pisciava addosso copiosamente. ciò avvenne almeno quattro volte nell'arco della quella mattinata.

il primario del reparto, per risolvere il problema prettamente urinario del tipo del letto numero due, pensò bene di attaccare al presto rianimato pene del tipo del letto numero due un preservativo modificato, nel senso che era collegato ad un filo che a sua volta era collegato ad una sacca contieni-pipì posta per terra. l'ingegnoso sistema aveva funzionato fino al momento in cui il nostro affezionato passava per, forse, la terza volta dallo stesso punto della circonvallazione e, guardando verso la finestra dell'ospedale, si chiedeva se, a quel dato punto della storia, l'infermiera si sarebbe incazzata disgustata oppure no.

l'infermiera bionda stava concludendo la sua dissertazione sul miglior modo di cucinare un risotto agli asparagi raccomandandosi alla sua interlocutrice di aggiungere il parmigiano a fine cottura, oramai a fuoco spento, così si sarebbe solidarmente e solidamente aggiunto agli asparagi. il led del letto numero due aveva incominciato a lampeggiare in quel momento. le due infermiere si recarono nella sala e videro che il lenzuolo del tipo del letto numero due era rigonfio come se questi fosse stato incinta. l'infermiera bruna tolse il lenzuolo e vide un corpo smagrito, ed un pallone pieno di liquido che aveva come base un presto rianimato pene. quel pallone sarebbe potuto essere rosa gusto fragola, così avrebbe dato un pò di colore a quella stanza. toccò non abbastanza delicatamente la sfera rigonfia, causò uno scossone ed il tutto scoppiò in una pioggia dorata sul suo volto e sul suo camice. l'altra infermiera, la maga del risotto agli asparagi, si lanciò in una grassa risata inusuale per quel luogo, come inusuale era il fatto che un'infermiera si prendesse un decimo di ettolitro di pipì in faccia perché non aveva ben maneggiato un preservativo rosa gusto fragola generosamente attaccato ad un presto rianimato pene di un presto rianimato corpo. per uno strano istinto animalesco, l'infermiera bagnata si passò la lingua sulle labbra sentendo un gusto acre, la pipì del tipo del letto numero due.
disse alla collega, fra i singhiozzi di una risata nervosa, che probabilmente il tipo del letto numero due aveva mangiato il suo risotto.

poteva essere una buona conclusione, pensò ad un semaforo rosso e deserto. ma non lo soddisfaceva poi tanto. allo stesso modo di quando si va a fare un giro carichi di speranze quasi sicuramente disattese, aveva sperato, vedendo quella finestra illuminata, che gli sarebbe potuto venire in mente un finale migliore per quella storia di pipì ma, evidentemente, si trattava di un'altra quasi sicuramente disattesa speranza.

sabato 27 marzo 2010

accento ed accapo

pare funzioni così, ed allora se sei femmina ti si legge la mano sinistra, se sei maschio la mano destra e, comunque, dipende sempre dall'approccio che ha la persona che te la legge.

la donna gli puntò gli occhi come degli aghi fra i solchi della mano, con le sue dita si aiutava a distendere le linee per leggere meglio, forse anche madre natura certe volte aveva una grafia non chiara, e se madre natura fosse stata mancina anche lei? non gli era dato di sapere, in compenso stava ricevendo una serie di informazioni sul suo futuro sia a breve che a lungo termine.

la mano diceva che da un determinato momento della vita in poi, ma non sapeva dirgli se precedente o successivo a quel presente - ed in ogni caso lui poteva essere benissimamente in grado di stabilirlo e se non lo era non era un problema della donna - lui si sarebbe legato inscindibilmente con un'altra persona e con lei avrebbe condiviso la sua vita. intrecciati, questa era la parole che si era sentito dire.
era una persona passionale, e questo glielo concesse. alcuni bivi sul palmo della mano pare indicassero la necessità di fare una scelta a settant'anni fra morire presto o morire un pò dopo avendo uno stile di vita più sano. dopo tutto non era poi così male come notizia.

gli disse dei soldi, molti ma solo per lui e, soprattutto, non aveva capito la precisazione finale, quel "per te". forse i lettori di mani non dovevano necessariamente avere una coerenza nelle loro letture e poi, dopo tutto, certe domande troppo razionali potevano rovinare la fantasia reale.

avrebbe avuto due figli, e dal sorriso che la donna le faceva guardando la sua mano sembrava dovesse avere un futuro pieno di soddisfazioni e di gioia. pensò che in quei casi era impossibile capire cosa fosse marketing e cosa non lo fosse.

finì la consultazione che non gli costò nulla, si avvicinò al comptoir e mandò giù un cicchetto di whisky aiutandosi con una birra, uscì dal bar con un sacco di cose su cui fantasticare così da dimenticare il fatto di essere solo, si accese una sigaretta e si disse che fra 39 anni avrebbe dovuto scegliere fra smettere di vivere o morire.

domenica 21 marzo 2010

pulizie di primavera (forse bis)

ho guardato il calendario e me ne sono accorto dopo una riflessione che è durata un pò troppo ed è giunta a compimento solo perché accelerata da qualche sorso del caffé di ieri, rigorosamente ed ingratamente scaldato nel micro onde.

vivaldi ti sembra d'obbligo ed accenni dei passi di danza abbracciando l'aspirapolvere, fida alleata nell'ennesima ìmpari battaglia contro le popolazioni polverose che abitano la moquette. le note si spandono nell'aria, le note si mettono a ballare a braccetto con le molecole di odore unto del lago che entrano silenziose dalla finestra, tutto questo volteggiare ti contagia ed allora i piedi scivolano su di ghiaccio peloso ma scivoloso, fra i calzini e la lana beige non v'è più attrito.

inizi a piegare dei vestiti, prima bene e poi ne hai abbastanza e dopo un pò la piegatura divene molto più che approssimativa, in conclusione prendi gli stracci sparsi un pò dappertutto e gli schiaffi nell'armadio affrettandoti a chiudere le ante, e plié mentre giri la chiave. tutti gli oggetti iniziano a volteggiare e ti verrebbe quasi voglia di dire che basta-un-poco-di-zucchero-e-la-pillola-va-giù la pillola va giù-ù: pezzi di carta strappati da quaderni e da pacchetti di sigarette si sollevano e fanno capolino nel pattume, bottiglie di plastica, cartoncini, penne scariche, biglietti del tram, lampadine, calzini spaiati e mutande ritrovate, arance rinsecchite, promo, carte di riso e canne di bambù..

tutto volteggio e tu cerchi di essere in armonia, l'aspirapolvere non è altro che un prolungamento del tuo corpo, le scale diventano mobili, ai piedi spuntano delle ali e scappi fuori dalla finestra, l'aspirapolvere è il tuo propulsore, voli sul lago, giri intorno al jet d'eau che oggi sembra meno illuminato ma è pur sempre lui, sorvoli la cattedrale, guardi la vita attraverso le finestre dei palazzi altrui, vedi la neve sulle montagne là in fondo che incomincia a sciogliersi, intravedi qualche raggio di sole, come gli occhi che si affacciano fuori da una coperta di nubi e si ritraggono toccati dalla luce, voglio dormire ancora un pò.

e ti domandi da dove provenga tutto questo movimento, e ti rispondi col nome di una stagione.

martedì 16 marzo 2010

tiroqualina

e poi non gli si venga a chiedere "come stai"... non era mai stato un sostenitore della risposta sincera, come anche della risposta esagerata. si può dire che era solito modulare la risposta alla fatidica ed inflazionata domanda in conseguenza di chi fosse l'inquisitore più o meno disinteressato di turno.

La questione più seria era quella di sapere come rispondere al "come stai" se era lui stesso a porsi la domanda. che fare in questo caso, bluffare, mentire spudoratamente, esagerare, essere addirittura sincero?

come si suol dire, continuava a rigirarsi i pollici mentre se lo chiedeva ed era giunto alla conclusione, giusto nel momento in cui la cottura della pasta, futura pasta pomodoro e basilico, era oramai impossibile da recuperare, a meno di avere una macchina del tempo a disposizione neanche fosse una macchina per stendere la pasta all'uovo, che era quasi impossibile ottenere una risposta da quel cane che era lì, nel suo stomaco, e continuava a cercare di mordersi la coda a tutti i costi da non sapeva più quanto tempo. ma non gli girerà la testa prima o poi?

assaggiando la pasta scotta si disse che era vita anche quella.

domenica 14 marzo 2010

piume di struzzo

ho guardato la superficie del lago, nugoli di uccelli intenti a corteggiarsi. Cigni maestosi con le piume drizzate, gonfiati neanche fossero fatti di meringhe e panna montata. la Folaga, che talvolta assomiglia più ad una puzzola volante poiché nera con strisce di pelo bianco laterali, ingaggia duelli con altri pretendenti uomini a colpi di petto, allo stesso modo di un gruppo di amici ubriachi alla fine di una serata molesta che si sbattono petto contro petto ridendo e dicendosi "ancora una volta", a braccia aperte come se avessero delle ali. e poi c'è lo Smergo (maggiore) che già dal nome suscita simpatia. all'altezza della nuca il suo pelo si ribella alla regolarità della forma del suo corpo: un uccello spettinato che in maniera spettinata cerca una compagna ancor più spettinata per accoppiarsi.

il riverbero dei raggi
di un sole che finalmente
scalda
colora la scena,
e dietro le montagne,
e sopra cielo,
l'aria trasparente
è come effervescente
quando entra nei polmoni,
un ghigno di vita sul volto
la stagione dell'amore viene e va..

venerdì 12 marzo 2010

milch

a volte uno torna a casa stanco e non ha voglia di dire nulla. poi le dita incominciano a battere sulla tastiera ed un mondo parallelo inizia a prendere forma. un luogo in cui sei tu a comandare e non c'è nulla che possa infastidirti, piena libertà di costruire lo scenario, di metterci dentro le parole e, se del caso, immaginare che qualcun altro le legga.

mi sono sempre piaciuti i rifugi, più quelli della mente che del corpo.
per per una strana ragione neuronale, appena pronuncio la parola rifugio, mi viene da pensare a quei chalets di montagna con musica tedesca ed il rumore degli scarponi in sottofondo, gli stessi che rendono robotica la camminata di chi li indossa. si, decisamente preferisco i rifugi della mente ai rifugi del corpo.

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stamattina un martello pneumatico ha deciso di mettersi in funzone sotto la finestra della camera da letto. ho provato a inovattarmi nei miei pensieri del primo mattino, un possibile rifugio, ma non sono riuscito neanche a tirare fuori uno straccio di sceneggiatura onirica per distrarmi dai rumori della realtà. cosi' eccomi qua, a mangiare cereali in una tazza senza latte. ho fatto fatica a ricordarmi dove ero e cosa facevo il giorno della data della scadenza indicata sul cartone del latte da mezzo litro, solitario nel frigo ed esteticamente meraviglioso con il disgno di una mucca che vola, non ho capito se grazie al latte che produce lei stessa, oppure per qualita' sue, e quindi il suo latte è speciale. anche se propenderei piu' per la seconda, non ci voglio piu' pensare, francamente importa poco, visto che sto mangiando cereali a secco.

si, francamente poco importa.

ci vuole una scala di importanza nelle cose. ci vuole per rispettarla e poi dopo un po' che la si conosce bene dimenticarsene. iniziare a giocare con la forza di gravità, salire i gradini facendone tre alla volta, due alla volta, bloccarsi durante la discesa, cercare un appiglio con le mani, usare solo una gamba, saltare a piedi uniti...

io, la cosa che mi piace di piu', è fare lo scivolo sul passamano, ma non riesce bene con tutti i tipi di scale.


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decisamente va meglio ora, quell'uno tornato a casa è riuscito a togliersi dalla mente un bel po' di stronzate della giornata appena conclusa. buona notte a tutti e buon week end.

domenica 7 marzo 2010

in principio fu il verbo

e non mi si venga a dire che qualcuno l'aveva già detto, o che si poteva cercare l'informazione su internet o che-so-io.

il bello delle cose sta spesso e solamente nell'annunciarle. esistono moltissime persone che nella loro concezione verbale del mondo (nozione che mi ripropongo di elaborare e chiarire quanto prima) fanno un sacco di cose.

non è una questione di essere farfalloni o meno, se si guarda bene la quastione le ragioni possono essere più profonde. infatti tutto dipende dal livello di severità e di indulgenza che si ha con se stessi, dalla necessità di dire delle cose o, più precisamente, il fatto che ci sia qualcuno ad ascoltarle e poi, fortunatamente, se ne dimentichi subito.
il fatto di dire di fare qualcosa o, nelle ipotesi più diffuse, dire di voler fare qualcosa, spesso rilassa la motivazione per fare quella tal cosa. avere esternato il pensiero di voler fare quel qualcosa corrisponde a l'averla fatta. è come se l'annuncio ci attribuisca uno status che le persone dovrebbero notare subito, come se ci fossimo auto-taggati nel mondo reale. ma la cosa che sfugge è che si tratta di un tag nel mondo delle parole e non della realtà.

mi rendo conto che svegliarsi una domenica mattina e tirare fuori questi pensieri potrebbe essere una buona ragione per essere mandato, letteralmente, a cagare; o lo posso anche accettare anzi, sai che ti dico, seguo letteralmente il consiglio e letteralmente vado a cagare: non importa se ci andrò davvero o no a sedermi sulla tazza, è importante averlo detto.

mi sono accorto che ho dimenticato la cosa principale che volevo dire, ragione per cui ero partito dalla bellezza degli annunci. Ebbene, per fare un uovo alla coque lo si deve cuocere in acqua bollente per tre minuti, esatti, se si scapella in eccesso non si ha più un uovo alla coque, ma un uovo quasi sodo.

ultima cosa a proposito delle uova: da noi in italia il rosso d'uovo si chiama rosso d'uovo, nei paesi francofoni il rosso d'uovo si chiama giallo d'uovo.

venerdì 5 marzo 2010

influssi di flussi

il paesaggio schiarito lo aveva ingannato. l'abbigliamento si era rivelato in tutta la sua leggerezza al contatto con la temperatura esterna: il sole c'era ma era come di carta, non scaldava. aveva pensato che la sensazione era simile a quella che si prova sollevando un pezzo di marmo di polistirolo.
Mise le mani insensibili nelle tasche neanche fossero degli arti estranei, e si incamminò verso una giornata tutta da scoprire.

ben presto si rese conto che ci sarebbe stato ben poco da scoprire, si sarebbe trattato di un giorno da disadattato. gliene ne capitava almeno uno ogni tre ricariche di cellulare, quindi, a seconda della nazione in cui si trovava, ogni sei o sessanta giorni lavorativi.

al primo sorriso spacciato sinceramente si accorse che il fatto stesso di averlo spacciato aveva causato nel suo destinatario una certa dose di diffidenza. rifletté sul fatto che i sorrisi forse andavano offerti pubblicamente invece di essere spacciati.

poi ci si era messo anche il multimat, strano aggeggio che sostituisce un impiegato di una banca che, senza neanche avvertirlo, si era inghiottito la sua carta.
si era immaginato lo stomaco del multimat: una stanza meccanica dove le tessere bancomat si depositavano come strati di pasta sfoglia tutte tremanti sotto gli occhi dei secondini a transistors. grazie a questa immagine, un mezzo gaudio si fece strada nella sua mente pensando al destino economicamente comune dei proprietari di ciò che, oramai, non era altro che un insieme di strati di pasta sfoglia ripieni di crema al microchip.

ebbe la certezza della giornata da disadattato quando tutta una serie di domande che si affacciavano al balcone dei suoi pensieri mettevano fuori giusto la testa, uno sguardo fugace alla fredda realtà, e poi si ritraevano fra le calde sinapsi.

pensò che forse le giornate da disadattato sono inversamente proporzionali al senso critico e che, paradossalmente, i pregiudizi potevano salvarlo offrendogli una soffice coperta in cui arrotolarsi fino all'arrivo della primavera.

andava di fretta, dimenticava cose fondamentali, ritornava indietro. desiderava il divano.

finalmente in fondo alla giornata rientrò, aprì la scatoletta magica per dare un taglio netto a quel 5 marzo che persino il cellulare gli segnalava come il 6, e scoprì, restando zen, che fra gli attrezzi gliene mancava uno, non sufficiente e pur tuttavia necessario, almeno il tabacchi era giusto sotto casa..

mercoledì 3 marzo 2010

To freddy with all my mistakes and my chili pepper

I went there to say hello to some friends. The second day, in the afternoon, my dandy friend forbad me to drink water with his left hand. Red wine sometimes is delightful, some others is liquid headache in a bottle. In Albion it is always delightful especially with a sandwich made of dry tomatoes and shining kindness.

Cigarettes were like minutes in the white warm flat somewhere in Camdentown, waiting for somebody like waiting for Godot. My bladder start to be tired when the sun went down and people, not like godot, arrived with ice, bottles and a lot of words coming out from their mouths.

My stomach started to speak english with the others and it was time to have dinner, but last gin & tonic, please!
Again somewhere, in Soho, spanish red wine in ours galasses, people with noses, big noses, people with hairs, long hairs, people with surenames, a lot of surnames.

"Take it, take another little peace of my heart" but the girl at the door didn't like Janis Joplin. Me and my friend had to smoke a cigarette, i had to drink some water and leave my wings at the entrance. You have to be calm in the club, like in a church, you can't dance with people especcially in the V.I.P. zone, you can't drink from the bottle even if there is not fucking glasses at your table, you can sing, yes if you want you can sing moving a little your legs and clapping your hands like in a church, as i said. But the funny part of the story comes if you do all that is forbidden.

And than it was time to go, to take your coat from the wardrobe, to lose your wings and the guys that were with you.

I was outside, without my address and without my wings, looking for an hotel. At the third attempt i decided that i wanted to book a room in french. the consiege didn't speak french even if a fucking consiege is supposed to speak french too. I said to him that he was a fucking consiege of an hotel and he was supposed to speak french too, because i wanted to take a room in french and not in english. He said fuck off, i said fuck off too and showed him the middle french finger.
I continued to walk with all the possible pride in my chest, it was impossible, after all the english day, to sleep in english. Anyway, the 149 N ended me up in Camdentown and a taxy on a sofa by liverpool station.

Mesdames et Messierus bienvenue à...I woked up, sitted on a landed plane, a britsh airways steward asked me if i was feeling better and i grumbled something like sweet/ sweet/ sweet love, sweetest hangover..

martedì 2 marzo 2010

la gestione dei conflitti

dopo qualche ora con una persona in possesso di un cervello stupefacente, e questo è un giudizio che esprimo nel pieno delle mie facoltà mentali, mi sono venute a cascata una serie di riflessioni delle quali vi parlerò, non prima ovviamente di aver fatto una degna digressione in uno degli argomenti su cui preferisco disquisire ultimamente (e non c'è bisogno di links, credo) e cioè la toilette, o meglio, il buon comportamento da avere quando si è un ambiente del genere che, ontologicamente, è un ambiente di merda.

ebbene un dubbio amletico mi si è presentato: supponiamo che entri in una toilette più o meno pubblica, non il bagno di casa tua dove sei da solo. sei in piedi - ragione per cui al quesito non potranno rispondere le donne e con questo non voglio essere maschilista, diciamo che non lo sono neanche per vocazione, credetemi - e fai pipì. sei serio, guardi davanti a te e leggi geberit (magari ti domandi come cazzo è che di fronte ai cessi in piedi c'è sempre un quadrato cromato o in plastica su cui in un angolino c'è scritto geberit) e senti i rumori tupici di una toilette: scrosci d'acqua, getti d'aria, porte che si aprono e si chiudono.
Ebbene, se nel momento in cui sei in piedi e fai pipì senti la necessità di fare uscire dell'aria usando gli sfinteri, cosa fai, la fai uscire contemporaneamente anche se c'è qualcuno affianco che è dedito allo svuotamento della vescica come te, con il rischio di urtarne la sensibilità, oppure termini l'operazione dell'orinare e vai nel gabbiotto per liberarti dell'aria in eccesso nel tuo intestino? è chiaro che se sei da solo non ti poni neanche la domanda. e vale lo stesso per i rutti? possiamo considerare lo spazio racchiuso fra quattro mura e chiamato toilette come una zona franca?

adesso mi riallaccio all'introduzione. le riflessioni a cascata di cui dicevo sopra finiscono nel laghetto affermativo seguente:
spesso non si sanno le risposte perché sono le domande ad essere mal poste.

sabato 27 febbraio 2010

prima di mezzanotte

mentre guidavo per salire di quota ho pensato che potrei scrivere una storia su me stesso nella quale mi descrivo esattamente, senza scampo.
in questa storia poi capita a me stesso di leggere la storia e, messo di fronte alla realtà di un me stesso smascherato, tento il suicidio con successo. così poi ce l'ho con me stesso per tutto il resto della vita.

dopo mi sono fermato per fare benzina ed ho perso il filo del ragionamento, cosa di cui sono contento. ci pensi a prendermela con me stesso per il resto della mia vita e per di più per il fatto di essermi suicidato?

per una volta in una disputa con me stesso ho avuto ragione io e non l'altro come sempre. mi sa che sta storia la scrivo su qualcun altro, se poi se si suicida cazzi suoi, io non l'ho fatto apposta.

anzi, facciamo che mi tocco le palle, non ci penso più e vado a dormire. oggi è stata una giornata abbastanza lunga.

giovedì 25 febbraio 2010

La pigrizia è il motore che muove l'uomo moderno

ci stavo pensando un attimo prima di addormentarmi, poi questa frase fatta di luci al neon bianche ed intermittenti - la pigrizia e' il motore che muove l'uomo moderno - mi si è presentata davanti alle palpebre ogni volta che provavo a chiudere gli occhi e ha incominciato ad impedirmi di dormire.

ci ho ripensato nel mio non sonno ed effettivamente credo sia vero.
non parlo della pigrizia che non ti fa fare lo sport, che magari non fare sport a volte è anche salutare. non me lo sto inventando io, lo ha detto Winston Churchill che campo' oltre gli ottanta anni a forza di sigari ( c'é una marca di sigari che si chiama come lui) e, da buon inglese, gin & tonic.

Parlo di quella pigrizia che fa usare la calcolatrice al negoziante per capire quanto resto di deve dare se paghi 6 euro e 80 e gli dai 10 euro; parlo della pigrizia che non ti fa mettere la "o" in mezzo alle due enne per scrivere "non", anche se il numero di caratteri non ha un prezzo; parlo della pigrizia di coloro che non hanno neanche la buona volontà di domandarsi se un'accento ci va o no su quella determinata e fottutissima "e" e che non si chiedono mai, neanche per sogno se, magari, ogni tanto qua e là un cazzo di accento lo dovrebbero mettere almeno per scrupolo, in dubio pro accento! parlo dell'insormontabile pigrizia che si presenta al momento di fare la raccolta differenziata, pigrizia dell'utente e del raccogliente (perché per esempio in inghilterra, come utente, devi dividere solo il grosso, il resto lo fanno le società che si occupano dello smaltimento, che poi se ne occupano davero); parlo della pigrizia di dover fare un controllo in piu' per fare le cose in regola o per scoprire se le cose sono state fatte in regola o studiare bene una problema per cercare di fare delle buone regole; parlo della pigrizia che ci fa prendere la macchina per fare duecento metri a piedi e, al riguardo, scuso solo chi ha delle protesi alle gambe, che poi, alla fine, loro invece la macchina non la prendono neache; parlo della pigrizia degli scienziati della finanza che, quando gli spiegarono i prodotti strutturati sui mutui americani, le subprime, si fidarono sulla parola ed accettarono di distribuirli sul mercato senza domandarsi se ste formule astruse funzionavano o erano uguli alla titrizzazione dei peli del mio pube e dunque un nulla matematico! parlo della pigrizia del "tanto fanno tutti cosi'" che é quella peggiore e mi ha fatto già innervosire solo scriverla e spero anche a voi nel leggerla; parlo della pigrizia di non avere voglia; parlo della pigrizia di pensare davvero alle cose, anche se già di per sé "pensare davvero" secondo me è un pleonasmo.

è come della sabbia che si inserisce negli ingranaggi del pensiero, prorpio nel passaggio fra il pensiero e l'azione, alla giuntura, fino a bloccare definitivamente tutto il marchingegno, cosi' i gesti sono mossi da non pensieri.

quindi se, nonostante la pigrizia, volessimo chiudere il sillogismo, esso diviene: l'uomo moderno è mosso da non pensieri.

magari le cose pero' non stanno cosi' male, i sillogismi a volte mentono, o meglio sono un modo per vendere per buone delle cose che buone in realtà non sono; occorre diffidare dei sillogismi e della troppa razionalita', seno' ci si annoia. quindi, almeno , spero che non sia proprio tutto cosi'.

adesso me ne vado a dormire e lascio pure una canzone piu' o meno in tema, ci tengo pero' a sottolineare che "lazy" vuol dire "pigro", casomai, nonostante l'eloquenza del video, quella sabbia, avendo gia' bloccato gli ingranaggi, non vi blocchi la voglia di saperlo!

un ultima cosa, cosi' evito anche di starvi sul cazzo: della traduzione a me l'hanno detto, mica l'ho capito o me lo sono cercato sul vocabolario..

buon ascolto.

mercoledì 24 febbraio 2010

quisque de populo

dopo qualche tempo stasera ho sbirciato nella televisione italiana. mi è capitato un programma abbastanza interessante sulla politica. ora, io non voglio parlare di politica, è l'ultima cosa che mi sogno di fare in questo mio spazio digitale. la riflessione che voglio fare però, trattandosi di spazio autoreferenziale, riguarda la certezza inconfutabile che con le parole si può dire, per usare un'espressione comune, tutto ed il contrario di tutto. la differenza sta solo nelle orecchie di chi ascolta.

parlando di chi ascolta, non sarò nè il primo nè l'ultimo a dire che noi italiani, come componenti del popolo, siamo oggigiorno poco equipaggiati di coscienza civile e soprattutto critica rispetto a quello che ascoltiamo.

quando parla una persona ad un uditorio che è un Paese, il soggetto che ascolta non è un insieme di tutte le persone che compongono il popolo, ma Il Popolo, cioé un soggetto collettivo che ha una coscienza polverizzata e che, come diceva george brassens (se si è in più di tre si è coglioni), è un coglione.

quando i componenti del soggetto collettivo escono da questa essenza di uditorio per fare delle scelte personali sulla base di una coscienza critica che già di per sé è scarsa, ed è ancor di più diminuita dall'essere stai parte del soggetto collettivo nell'ascoltare, succedono i patatrac.

trattasi di uno status quo.

viva san remo!

martedì 23 febbraio 2010

un etto di parole per favore

sono entrato dietro la pagina del blog per armeggiare senza un'idea precisa, diciamo che mi ero stancato di willy miller e del presepe, soprattutto perché ieri, per qualche minuto, ho assaggiato l'aria là fuori: aveva un sapore diverso, era meno pungente e gli strati di cacamir erano davvero un surplus.

sta arrivando, con calma ma sta arrivando, e non smetto di meravigliarmi del fatto di meravigliarmi ogni volta.

domenica 21 febbraio 2010

willy miller

quando willy si ammalava era sempre incazzato con il mondo. non fosse per la delicatezza dei suoi bronchi, emersa in tutto il suo essere dopo la rimozione chirurgica delle tonsille, la sua qualità della vita sarebbe risultata migliore, a suo parere.
in realtà non cambiava poi tanto avere una bronchite od una tonsillite, ma la capacità di riflessione di willy era assolutamente irretroattiva.
e non serviva a nulla il fatto che fuori ci fosse il sole inaspettato di una giornata di fine febbraio, che si riuscissero a vedere nitidamente dalla finestra le montagne macchiate di neve che gli facevano pensare alla farina che si fa cadere sulle montagne di carta dei presepi di natale.

avrebbe voluto che i suoi bronchi rispondessero alle medesime logiche dei presepi, nessun senso della proporzione, della prospettiva, in una parola della realtà.
così un colpo di tosse sarebbe stato il cane che mette il muso nel presepe facendo cadere il mugnaio troppo grande rispetto alla sua casa, del muco sarebbe stato della semplice carta stagnola che rappresentava un fiume sul quale passava un ponte, anch'esso troppo piccolo per il panettiere che si apprestava a camminarci sopra, le difficoltà di respirazione sarebbero state l'affanno dei re magi che, a cavallo o sul cammello, questo willy non l'aveva mai capito, si apprestavano a scalare le montagne di carta ricoperte di farina gelida.

per fortuna esisteva la fantasia, l'immaginazione che, anche se non servivano a niente, per lo meno gli facevano dimenticare per qualche secondo il vaffanculo periodico che rivolgeva al mondo quando i suoi bronchi gli ricordavano la loro esistenza, e gli facevano spostare l'attenzione su quel mugnaio troppo grande per entrare nella sua casa. cazzone!

mercoledì 17 febbraio 2010

il principe della mandorla riccia

tra il 1485 ed il 1603 nessuno ci aveva mai pensato, e neanche negli anni successivi alla fine della dinastia con la morte di elisabetta ed il passaggio agli stuart. nessuno aveva mai pensato all'idea che qualche 500 anni dopo ivo sarebbe passato fra i corridoi della national portraits gallery pensando che fosse la national gallery, rimanendo a bocca aperta.

sale magnifiche, ampie blu verdi e dorate, luce indiretta e cornici quasi più preziose dei dipinti stessi. da un lato Sterne ed il suo tristram shandy che ancora oggi vive, dall'altro tommaso moro tutto mento e naso prominenti che è già nell'atto di pensare all'utopia, il duca tal dei tali, gli wellinghton, i cavendish, tutte facce di uomini con lo sguardo da strateghi militari, tutti hanno all'attivo un tot di battaglie o di pagine scritte che sono poi finite in altre pagine scritte e che raccontano la storia della storia. le pellicce di ermellino dei lords nella loro house di una perfezione da togliere il fiato, i riflessi del pelo lucente, piccolo particolare di una tela maestosa con centinaia di figure umane.

rifletté su una cosa guardando il ritratto del principe nonricordoilnome, ma si trattava del fratello di elisabetta, morto giovane di una malattia tipo tisi pronunciando come ultime parole prima di morire "dov'è la mia adorata sorella?". pare che questi fosse accompagnato costantemente da un ritrattista che aveva il compito di lasciare ai posteri un'iconografia del principe, e così valeva per tutta la dinastia. le macchine digitali di un tempo si chiamavano ritrattisti ed erano a forma di essere umano. una cosa invece che è rimasta sotto forma di essere umano così come allora, sono i raccontatori di storie, ancora non ne abbiamo inventati di digitali anche se, forse, qualche software esiste.

tutta questa eleganza, i nasi prominenti dei mezzi busti, i tessuti sfarzosi che erano stati inventati esattamente per poter poi usare la parola sfarzosi per descriverli- con tutto il corollario di opulent, sumptuous, princely- ebbero un effetto "elevante" su ivo che, quando uscì, camminava con il petto in fuori, degno e non curante dell'acqua che cadeva, mille gocce e mille persone in continum, un fiume verticale di acqua in cascata verso un fiume orizzontale di persone in movimento.

aveva fame, prese uno slice di margherita e rifiutò magnanimamente la bevanda free che andava avec, si rimise nel fiume ed un uomo barbuto gli mendicò aiuto, lui gli porse la margherita che stava per mangiare,l'uomo la prese riconoscente azzannandola di un colpo, Ivo si sentì un principe che concedeva qualcosa al popolo, si rimise le mani in tasca e si diresse sorridente ed affamato verso l'underground, lui, i suoi pensieri ed il suo essere principe della mandorla riccia.

La dinastia della mandorla riccia, una dinastia che vola low cost, si muove fra lavoretti e sussidi famigliari, quasi mai sussidi dello stato quantomeno italiano, usa la visa electron perché 10 euro in più per il pagamento on-line con visa classic stanno un pò sul cazzo, compra pacchetti di sigarette da 10, mette 5 euro di benzina e pensa di dover andare lontano, scopre prodotti validi dai nomi improbabili nei discounts, opta, se possibile, per il free riding in materia di trasporti pubblici, si ostina a chiedere lo sconto studenti anche se la card è vecchia di qualche anno, a volte bleffa sull'età per ricevere uno sconto su qualcosa e non disdegna la birra in lattina (chiara o scura), adora lo champagne, soprattutto quando è l'amico franco a portarne una bottiglia, ha ricevuto un'educazione cattolica ma in fondo non ci crede tanto, veste bene ed adora rimandare fino all'ultimo istante dell'ultimo momento.

se vi sentte in linea, la dinastia della mandorla riccia sarà felice di accogliervi nel suo albero genealogico : God saves us, God saves the Queen, God saves the curly almond!

lunedì 15 febbraio 2010

accordatore al seguito

abbiamo dei musts nelle tasche, ce li portiamo in giro senza saperlo neanche, si infilano fra le cuciture e li si ritrova per caso, come una banconota da 5 euro spiegazzata su se stessa. la prendi, la sistemi con le dita e la rimetti in tasca dove la potrai trovare, giusto qualche minuto dopo, per comprare le sigarette oppure, forse, dimenticartene nuovamente.

perché rifiutare le comodità?

dipendenza e coincidenza sono le nostre regine, ma predichiamo l'indipendenza e la programmazione. pretendiamo che la confusione sia il peperoncino della vita, ma nell'incertezza totale non ci sentiamo a nostro agio.

sono belle le statue, specie se di marmo bianco, esprimono eleganza, freschezza, purezza. in fin dai conti ci piace la nostra statua? ci piace l'idea di fermarsi dentro ad una forma? ci piace una forma?

non lo so, ma di sicuro non ci piace pensare molto e ci piacciono le frasi ad effetto, anche se non sappiamo esattamente di chi:
l'intenzione è una madre, la ragione è un figlio, l'intenzione è ciò che la madre pensa del figlio.

giovedì 11 febbraio 2010

Elementi di macroeconomia sociale della toilette

Come spesso succede quando hai da tener presente degli orari e dei lassi di tempo sufficientemente prudenziali che li accompagnino e che ti accompagnino durante gli spostamenti, ti ritrovi su dei mezzi di trasporto dovendo far fronte a delle improcrastinabili esigenze fisiologiche del tuo corpo.

Ebbene questa è stata la causa scatenante delle considerazioni che d’appresso seguiranno. Gli stimati lettori abbiano però la disponibilità di allargare le suddette considerazioni anche ai luoghi domestici, specie se di nuova fattura o, addirittura, ancora non finiti (in exercise for example salle de bain di casa appena costruita).

L’umanità, o almeno la civiltà occidentale, ha deciso di ridurre il diametro della circonferenza del cesso, da un tot è passato ad un tot meno 5 cm. Il risultato è che quando ci si siede sopra si sta stretti e, per gli appartenenti al sesso maschile, qualcosa urta.


Ma quali sono le motivazioni che hanno portato l’uomo occidentale a ridurre le misure standards del cesso? Non lo so ancora chiaramente, ma ci sto pensando e la cosa che in una scatola che sorvola i cieli d’europa ci sia un passeggero che nella testa ha come una nuvoletta a fumetto nella quale c’è un cesso che ha perso una taglia, mi fa sorridere mentre l’hostess mi dice che non posso andare alla toilette ,bloccandomi proprio davanti alla porta, per una turbolenza, neanche se mi stessi pisciando addosso chiedo? Neanche mi risponde lei brutta ed inflessibile senza accennare al ben che minimo sorriso (colgo l’occasione, visto che is è toccato il tema di dire che la storia delle hostess che sono fighe è definitivamente tramontata, le hostess non ci sono neanche più nei films porno).

Penso seriamente che il personale della ryanair venga addestrato per quattro anni insieme ai militari di Israele e, come i soldati israeliani, sarebbero capaci di accenderti il fuoco in una foresta bagnata da un temporale tropicale e, come rambo, saprebbero auto-suturarsi o etero-suturarti senza anestesia, disinfettandosi e ttandoti con le bottigliette di J&B che hanno a bordo.

Perché allora le dimensioni del cesso sono state ridotte? Perché i nuovi cessi prodotti sono più piccoli e proporzionalmente più piccoli nel senso che il cesso di un treno o di un aereo è piccolissimo e quello di un bagno nuovo è piccolo?

La mia risposta ha come base l’idea che, da qualche anno, si stia dedicando sempre meno spazio ai bisogni fisici: il minimo indispensabile o, ciò che rappresenta esattamente il suo contrario, se ne stia dando troppo: il lusso sfrenato ed inutile. I due estremi di questa idea sono giustificate dalla stessa ragione, solo che il limite verso l’alto si basa su un concetto assoluto: l’inutilità pomposa paga sempre di più; il limite verso il basso si basa su un concetto relativo: l’inutilità marginale non paga.


In sostanza, in conclusione ed in sintesi, se il cerchio del cesso è più piccolo perché si moltiplica per PGreco o per 2 volte PGreco un dato che è 5 centimetri o 2,5 centimetri più piccolo rispetto al passato, la causa è la stessa per la quale presto scomparirà, in termini globali, la middle class: il capitalismo sfrenato.

domenica 7 febbraio 2010

che colore sei

scoprii che tutto era in vendita. nel senso che tutto l'arredamento si poteva comprare chiedendo informazioni al cameriere. mi era capitata la stessa cosa in un bar di Essaouira, marocco, lì si vendevano solo i quadri però e, forse, se non ricordo male, gli specchi nei quali era possibile ammirare o non sopportare il proprio volto o quello altrui sotto un numero indefinito di angolazioni (era ovviamente più interessante vedere che faccia avevi di spalle o di profilo o di 3/4 o qualsiasi altra angolazione diversa da quella frontale o profilo-destro-profilo-sinistro).

la mia consorte si interesso' ad una lampada, a mio parere neanche troppo bella, tuttavia se ne interessò. peccato, era di un tipo che era a nuova york e l'aveva parcheggiata lì per qualche mese, quando sarebbe tornato se la sarebbe ripresa, non era in vendita.

non riesco a far trasparire la rilassatezza e l'aria che scorreva in queste tre stanze, sala da the-ristorante-bar, ma vi posso assicurare che seduti su una poltroncina luigi XVI ad un tavolo di marmo un pò rotto e di legno che profumava di tempo, ci si sentiva fighi. accanto dei musicisti che parlavano di musica con vari accenti - ed è ovvio che se parli di musica in quel modo sei figo; non riuscirò mai a mettere lo stesso entusiasmo di chi parla dell'esecuzione della tal sonata mentre parlo del beneficio della remissione in termini, ma qua ho una mia teoria che se ci sarà tempo vi racconterò un giorno.

mentre mangiavo non guardavo di fronte a me, non guardavo nel piatto trasparente ed ampio, non guardavo fuori dal vetro nella strada diafana di un sole coperto da nuvole bianche. ad ore nove vi era una donna seduta da sola ad un piccolo tavolo nell'angolo, un vaso di fiori azzurri e vivi di un verde vivo che si aprivano come spaghetti gettati nella padella a modi mikado (shangai per gli italiani), capelli rossi e lunghi che cadevano sulle spalle insieme alle stoffe frou-frou che coprivano il suo corpo. in un primo momento mi attrasse il suo essere cromaticamente così variata, pensai per un istante che facesse parte dell'arredamento in vendita, poi notai che rideva di cuore e, mentre lo faceva, si copriva la bocca con il mouchoir per rispetto verso se stessa, non verso gli altri, questa è una sfumatura che notai ma che non riesco a spiegarvi, abbiate fede però.

mi capita a volte di ridere da solo, specie se ascolto con le cuffiette per strada od in mezzo alla gente una canzone che mi ricorda qualcosa, che mi trasmette felicità, ma non mi è ancora successo di essere così simpatico a me stesso da dovermi coprire educatamente la bocca quando rido, per rispett, verso me stesso.

sotto il tavolo della donna - che decisi di battezzare su due piedi la strega dei mille colori (strega-strega-dei-mille-colori-che-colore-vuoi?), personaggio che mi è sempre stato simpatico, è infatti inconciliabile l'idea di una strega cattiva ma colorota - aveva i piedi infilati in scarpe dalla zeppa consistente, con delle fibbie sopra il collo del piede, un orrore insomma, ma un orrore simpatico. dal melange di colori arrivava un messaggio visivo un pò viola ed un pò fluo e, mentre pensavo questo, lei ancora rideva, io ancora mangiavo e discutevo.

quando lei aveva ordinato due dessert io attaccavo con forza di volontà una côte de veau aux tomates confitès et trouffe. la creme brulée e l'ile flottante se le era fatte servire ai due lati del tavolo, una per lei e l'altra per lei, una per lei che rideva e l'altra per lei che rideva in silenzio.
finito il primo dessert si alzò, mastodontica sulle zeppe, cambiò posto per mangiare l'altro dessert. adesso l'altra rideva davvero, quella di prima rideva in silenzio.

rise ancora, finì, lasciò dei soldi sul tavolo ed andò via.

non avevo mai pensato alla possibilità di incontrare un giorno la strega dei mille colori, alla possibilità di vederla pronta per il reparto di geriatria.

Non avevo mai pensato alla possibilità di un mondo dove lei, insieme a qualcuno con tante braccia e tante mani così da essere capace di liberare più persone allo stesso tempo e che si chiami Libera Fratelli, a qualcun altro che assomigli ad un grande birillo da bowling e si chiami Piru-Piraru, insieme alla Mamma te li fiuri, a quella Maria il cui marito reclama ancora la gamba di legno dal profondo dell'oltretomba, ad un uomo scintillante con tutina dorata che si chiami 1-2-3 stella, un mondo a popolazione variabile secondo l'immaginazione di ognuno, in cui vivano in pace questi meravigliosi personaggi, indisturbati, godendosi una meritata pensione, con il diritto di farsi rivedere in giro nel mondo reale, a loro piacimento ed a quello di chi, fra di noi, riesce ancora a vederli.

venerdì 5 febbraio 2010

la comunione

una domenica, come ogni domenica, aguinaldo almunya de araujo si recò ad ascoltare la funzione religiosa. era cattolico da sempre, possiamo dire che era stato l'unico caso di embrione battezzato al mondo, forse era stato battezzato anche prima di essere concepito, aldilà di qualunque problematica bioetica.

sul comodino affianco al letto del suo appartamento erano disposte in maniera ordinata, affianco all'abat-jour, la Bibbia usurata e la Harvard business review di novembre. lavorava nel back office di una banca, cercava di essere un buon cattolico ed un buon economista, aveva detto uscendo dalla chiesa ad una donna della sua stessa nazionalità.

Abelarda santos de la passion, cosi' si chiamava, costringeva i suoi piedi e le sue caviglie gonfie in un paio di scarpe che accennavano dei timidi tacchi e mostravano i costretti alluci verdi macchiati di smalto fucsia. i fianchi larghi iniziavano dove il grasso del tronco vi si posava arrotolandosi su se stesso, i capelli un pò arruffati, corti, la pelle rugosa. portava male i suoi anni, le macchiette micotiche sulle mani, gonfie anche loro, testimoniavano un lavorio costante di quegli arti.

mi occupo di pulizie in tutto il quartiere, aveva affermato ad aguinaldo almunya de araujo che, giovane e bello, ben profumato, la guardava con la nostalgia e la compassione con cui si guardano le donne che ti ricordano le figure femminili che ti hanno allevato sin da quando eri in fasce: i grossi seni, la temperatura corporea sotto i 36 gradi, gli avambracci uno più grosso dell'altro, un senso di femminilità che traspariva solo in certe espressioni di vergogna che si intravedevano dagli occhi, come qualcosa che risaliva fuori dall'acqua per prendere respiro ed evitare di affogare in quel mare di intraprendenza e praticità che la vita le aveva imposto.

abelarda gli faceva tornare in mente l'età delle prime comunioni, quell'avvicinarsi in fila davanti al sacerdote, la mano destra sotto e la sinistra sopra, a coppa, "amen" si doveva rispondere all'annuncio del prete sulla vera identità celata dietro al disco bianco. mettere in bocca l'ostia e tornare al proprio posto con espressione seria, perché così si doveva fare, mettersi in ginocchio e poggiare la fronte contro le mani giunte, gli occhi contratti nello sforzo del pentimento, in realtà non sapeva cosa si pensasse in quei momenti, non poteva a quell'età, cercava di imitare gli altri, soprattutto le donne anziane che avevano l'aria di sapere davvero cosa stessero facendo. in quei momenti lui non riusciva a pensare ad altro che a togliersi con la lingua l'ostia che si era incollata perfettamente al palato; alla fine si arrendeva, approfittava del momento in cui tutti guardavano dentro di loro per coprirsi la bocca con una mano e infilare l'indice dell'altra nella bocca e staccare l'ostia incollata sul palato. il tutto con espressione seria, intensa, da comunione.

più precisamente mi occupo di tenere pulite tutte le case delle donne che esercitano la professione più antica nel quartiere, aveva precisato con un certo tono di soddisfazione per le dimensioni della sua attività abelarda, facendo ritornare alla realtà aguinaldo che quasi sentiva ancora l'odore dell'incenso nelle narici e nelle orecchie il suono della campanella che annunciava il mistero della fede.

alla successiva domanda di un aguinaldo alla ricerca di dati più precisi, abelarda aveva risposto dettagliatamente che c'erano venti abitazioni, ma francamente non sapeva quante puttane. e per caso abelarda sapeva anche dirgli in quali palazzi si trovavano queste abitazioni che lei sicuramente teneva pulitissime? certamente che poteva, abelarda era una donna organizzata, toccava delle buone cifre mensili, cosa pensava?

una volta elencati i palazzi con l'ausilio dei nomi degli esercizi commerciali come punti di riferimento ed annesso spreco di vocali che accompagnavano le consonanti finali delle parole, aguinaldo capì che nel suo palazzo vi erano due abitazioni usate per accoppiamenti a pagamento, una delle due era esattamente al piano di sopra dal suo, ancora più esattamente sopra il suo appartamento.

la notizia lo inquietò. un certo tipo di pensieri incominciarono a farsi strada nella sua mente, fra il rosario della mattina e l'ingresso in ufficio, e poi, soprattutto, durante il tragitto di ritorno, dall'ufficio a casa. l'idea di poter incontrare la donna dell'appartamento di sopra lo metteva in agitazione.

dopo qualche settimana di esitazioni ed origliamenti, decise fermamente di andare a chiedere del sale alla donna di sopra, voleva vederla. era sera, poco prima di cena. montò le scale facendo i gradini tre alla volta ed arrivò innanzi alla porta. dall'altro lato giungevano dei suoni, dei gemiti che volevano essere di piacere, veri o finti poco importava.

aguinaldo si pietrificò, il pugno a pochi millimetri dalla porta, senza bussare, la bocca semi aperta e secca, le pulsazioni che acceleravano e qualcosa che si gonfiava nei pantaloni.

il desiderio si affacciò prorompente nel suo corpo. si sarebbe dato un'ora e mezzo e sarebbe ritornato su; per il sale non faceva niente, la scatola a casa era piena. e come l'avrebbe messa con dio, la bibbia, il peccato, la comunione, l'economia, la madonna e tutto il resto? forse, e lo pensò davvero, vergognandosi un pò, non faceva niente, dopotutto anche di loro ne aveva le scatole piene e, per concludere degnamente il suo ragionamento, si disse quella frase che mette a tacere ogni tipo di coscienza, anche la più restia ai compromessi, "solo una volta, solo per questa volta, poi non lo rifarò più".

mercoledì 3 febbraio 2010

una frase in una mano e la tazzina nell'altra

mi sono svelgiato sbarbato e tranquillo.
per ritardare di qualche tempo l'inizio vero e proprio della giornata, mi sono dedicato al caffé ed alla rassegna stampa digitale. e fin qua, direi, non fa una piega.

nella testa ha iniziato a frullarmi la trama di qualcosa, un primo input per poi mettere giu' cio' che è comunemente chiamato post.

poi, mentre scorrevo le pagine dei siti internet dei giornali, sono rimasto abbastanza allibito:

(Ucciso e decapitato nell'armeria
Delitto "horror" nella Como 'bene'
Il titolare del negozio ha ammazzato a colpi di pistola l'amico che voleva rilevare l'esercizio. Un appuntamento, poi il raptus omicida. La testa della vittima trovata nel forno di una pizzeria.)

e mi sono detto genuinamente e forse anche banalmente: ma c'é davvero bisogno di invertare una storia?

quando ti accorgi concretamente della concretezza di certe frasi, del tipo che la realtà supera l'immaginazione, realizzi che non ha niente a che vedere con il fatto di dirle semplicemente. quando ti accorgi della realtà di una frase, ne apprezzi davvero la pesantezza, il suo essere qua fuori nel nostro mondo, la puoi quasi toccare, tenerla in braccio,impugnarla con la mano che non ha la tazzina di caffé fra l'indice ed il pollice.

pensi che ci siano frasi reali con l'impugnatura per destrorsi, per sinistrorsi, per ambidestri. frasi reali di polistirolo, frasi reali dalla consistenza di un insieme di scogli che proteggono i costoni di una spiaggia, frasi reali inconsistenti, frasi reali fritte in olio di girasole o in olio d'oliva, frasi al forno, frasi reali nude e frasi reali mascherate. frasi reali metropolitane ricoperte di una patina untuosa di smog e frasi reali di campagna ricoperte da residui di carbone e terra fina, frasi reali in diverse lingue.

credo di aver capito perché, certi giorni, non riesci proprio a spiegarti la causa dell'acido lattico nei muscoli delle braccia, negli avambracci, nel collo o sulla schiena.

altri giorni invece non ti spieghi i lividi sul corpo, solo che questa é un'altra storia.

martedì 2 febbraio 2010

riflessione alimentare di un secondo giorno di mezzo inverno

non c'é nulla in natura che sia commestibile ed allo stesso tempo non sappia piu' di niente di quanto non sappia di niente il tofu.

lunedì 1 febbraio 2010

rose rosse per te ho comprato stasera

la cosa che saltava di piu' agli occhi era un mazzo di 9 rose rosse dal gambo piuttosto lungo adagiato sul tavolo. la tovaglia e le stoviglie bianche, una candela dalla fiamma tremolante. sedevano uno di fronte all'altra un' avvenente donna formosa e castana, ed un uomo ben vestito che, nonostante la barba in ritardo di un paio di giorni, lo si poteva ancora definire come distinto.

si guardavano negli occhi per pochi secondi alla volta, poi ora le rose ora la candela costituivano una buona scusa per distogliere gli sguardi. i due consumavano0 un'entrée senza troppe pretese composta da foglie verdi di varie piante, il decanter pieno di vino rosso lasciava inendere i piatti successivi a base di carne.

si intravedeva tra i due commensali una certa emozione, una certa curiosità che sarebbe sfuggita all'osservatore distratto (o che si fa semplicemente i cazzi suoi)il quale avrebbe catalogato le due figure come coppia nel pieno di una prima cena romantica.

era palese che si piacevano, manifestavano la loro soddisfazione per il fatto di essersi trovati davanti a consumare una cena prelibata (a parte l'insalata) e per il molto-piu'-che-potenziale fatto di finire fra le lenzuola dopo.

lei indossava un tailleur nero, i capelli castani e lucenti, le labbra carnose e gli occhi di ghiaccio. lui esattamente come ci si puo' immaginare un uomo d'affari distinto, fate voi.

agli altri tavoli altre coppie che nei momenti di silenzio talvolta si deconnettevano uno dall'altra, ed allora gli sguardi dei vari lui erano intenti ad osservare l'uomo distinto per cercare di cogliere ed imitare la sicurezza nei movimenti, e gli sguardi delle varie lei contavano le rose sul tavolo dell'altra lei e ne invidiavano la fortuna.

posato il fazzoletto affianco al piatto l'uomo si alzo' con un gesto ovviamente distinto per andare a prendere una telefonata. la donna ne approfitto' per armeggiare con il suo telefonino dove lampeggiava una chiamata: "mamma".

Uomo distinto: ciao amore tutto bene?
Voce dall'altro lato del telefono: ciao caro si tutto bene, come va la tua cena, ti disturbo?

Donna Castana: Ciao mamma, quante volte ti ho detto di non chiamarmi mentre lavoro?
Madre:Lavori?
D.C.: si insomma quando sono impegnata.
Madre: Allora ti disturbo, sei gia' a cena?
D.: si ma è andato in bagno, è bellissimo stasera..
M.:voglio proprio vedere quando me lo presenterai, sono mesi oramai che va avanti questa storia delle cene e sempre in posti diversi, glielo hai detto che non hai ancora il permesso di soggiorno?
D.:mamma non ti preoccupare, un giorno te lo presentero', adesso devo chiudere che sta tornando.

U.d.:no per niente, ho abbandonato il tavolo per rispondere, ma sembra stia andando tutto bene, il cliente è d'accordo..i bambini dormono gia'?
V.A.L.T.: si li ho appena messi a letto, volevo giusto salutarti, vengo a prenderti domani in aeroporto, buon proseguimento.
U.d.: ciao cara buona notte, ti amo.

la cena scivolo' via, i vestiti scivolarono via.

la mattina dopo, nel piu' classico dei risvegli in una camera d'albergo vicino all'aeroporto, la nostra castana si risveglio', di fronte al letto il carrello del servizio in camera con colazione continental. sul comodino affianco alle 9 rose una busta voluminosa: questo cliente si era comportato davvero bene. il contenuto di quella busta le sarebbe bastato per pagare l'affito di quel mese e, forse, anche a comprare quella borsa che tanto le piaceva, magari in saldo.

venerdì 29 gennaio 2010

allungamento muscolare

delle volte mi domando perche' rido o perche' sono di cattivo umore. altre volte mi concedo tranquillamente al mio umore, altre volte ci combatto e non riesco mai a trovare il bandolo della matassa. ruisultato: sopracciglia corrugate, insiofferenza etcetera etcetera.

l'altra sera, in fase di convivio, mi è venuta in mente una cosa che, se debitamente elaborata, potrebbe essere la soluzione a piu' o meno tutti i problemi dell'umanita':
fare streching al cervello.

mi spiego, non si tratta di fare streching concretamente a quella massa affascinante, che mi fa pensare a frankenstein, e che sta o dovrebbe stare nella scatola cranica di ognuno di noi - a proposito, quando si parla di frankestein ci si riferisce normalmente al dottore e non al tipo tutto cucito, difatti il romanzo che sta all'inizio della sua mitificazione si chiama dottor frankeistein, l'uomo cucito è la creatura - dunque dicevo che non si tratta di fare streching alla materia grigia, che poi, secondo me, non è grigia ma rosa.

l'affermazione va dunque precisata.

lo streching del cervello fa si che, invece di dire ogni volta cio' che ho detto sopra a porposito frankeinstein mentre si parla di frankestein se qualcuno chiama frankestein riferendosi alla creatura, si tace e si "allunga" il concetto di frankestein.

si tratta, infatti, piu' specificamente di di streching concettuale.

ed allora, per fare un esmpio: israele non esiste lo si accetta come israele che in realta' esiste praticando un po' di streching sul tricipide surale (il polpaccio ndr) del concetto di esistenza.

si comincia con piccole cose, nessuno all'inizio è capce di toccarsi le punte dei piedi allungando i flessori delle gambe, ma con la pratica si migliora.

ovviamente tutto va preso con le molle ed accettando le dovute eccezioni che si decidono in maniera del tutto arbitraria e con specifico riferimento alle offese personali: se ti dicono un bel po' di volte che sei stronzo o per il gentil sesso puttana, beh devi almeno ammettere che su quei concetti c'è una contrattura, uno stiramento o peggio uno strappo e quindi conviene non praticare lo streching per un tot per far passare l'infortunio.

saluti.

giovedì 28 gennaio 2010

unconscious delivery and viceversa

quella notte non aveva tanta voglia di andare a dormire, indugiava davanti alla finestra aspirando dall'ennesima sigaretta della buona notte tirate profonde ed annoiate, ripetendo a se stesso che dopo si sarebbe infilato sotto le coperte. aldilà del vetro, il palazzo di fronte mostrava il suo interno attraverso le poche finestre illuminate: una sala non meglio identificata con un armadio, uno studio con scrivania in vetro e lampada hi-tech, una cucina vuota nella quale passava e spassava una giovane donna con un pigiama bianco. immaginare qualunque cosa su quegli ambienti e le persone che vi potevano abitare poteva essere un valido biglietto d'entrata per il luna park dei sogni. tuttavia l'immaginazione non partiva, o0ccorreva un'altra sigaretta della buona notte.

arresosi, spense distrattamente la cicca della sigaretta praticamente inalata in poche tirate, svuoto' il tutto nel sacchetto della spazzatura e si dedico' ad una lettura per "prendere sonno" (occupazione fra le piu' tristi in natura).

era cosciente del fatto che ogni qualvolta aveva una disputa con se stesso era quasi sempre l'altro a vincere e, in una situazione come quella, dopo innumerevoli indulgenze sempre con se stesso, non poteva lasciargliela di nuovo vinta. si alzo' di scatto per lavarsi i denti, perche' quando ci vuole ci vuole cazzo! si sentiva un eroe per aver vinto almeno una volta una sterile battaglia, seppur igienica, con se stesso.

oltre allo strano odore dell'asciugamano, gli parve come di ricordarsi di quel giochino che si fa con i pacchetti di sigarette: la fontana di fumo. si stacca il bollino del monopolio (spesso utilizzato poi dal gentil sesso come banconota nelle transazioni fra bambole e/o barbie adulte), si solleva un po' la mutanda del pacchetto praticando un buchino su uno dei vertici e vi si infila per meta' il bollino del monopolio arrotolato su se stesso. si da' la fiamma all'estremita' che esce fuori e una cascata di fumo scende dall'altra estrmita' infilata nella mutanda di plastica. tutto cio' voleva dire odore o puzza di bruciato.

usci' dal bagno semi inquieto e ando' a controllare nella sala. aprendo la porta una nuvola di fumo gli fece lacrimare gli occhi, la fonte della fontana era il sacco della spazzatura, la fonte della fontana era stata qualche sigaretta non spenta bene. cerco' di intervenire attraverso una serie di azioni: prendere il sacchetto fumante e gettarlo nel lavandino dle bagno mentre piccoli carboni ardenti di carta e plastica cadevano durante il tragitto sulla moquette immacolata, fece scorrere l'acqua nel sacchetto causando un aumento delle emissioni di fumo, se ne accorse e rovescio' tutto il contenuto del sacchetto nel water, tiro' lo sciaqquone otturando evidentemente il tutto. intanto la moquette aveva preso fuoco a chiazze, la sala era un campo di grano a cui era stato messo fuoco per renderlo piu' fertile. effettivamente il fuoco aveva fertilizzato le sue azioni, che erano diventate piu' veloci, meno melliflue, piu' adatte a meritarsi di andare dormire. riempi' un secchiello d'acqwua e lo rovescio' per terra, apri' tutte le finestre per far uscire il fumo di cui oramai non sentiva neanche piu' l'odore.

rimase in piedi, immobile con la vera sigaretta della buona notte fra le mani, a guardare l'appartamento praticmaente devastato piu' dalle sue azioni che dal fuoco in se'. i campi di battaglia dell'800 avevano sicuramente qualcosa in comune con il suo soggiorno. spense la sigaretta a metà e si infilo' velocemente nel letto. appena chiuse gli occhi napoleone in persona gli metteva fra le mani un foglio munito di sigillo cerato: doveva unirsi all'esercito francese per la campagna di russia, "speriamo di non fare troppi danni" penso', poi si addormento' dimenticandosi di tutto cio' che era successo, come avviene per i sogni quando ci si risveglia al mattino.

martedì 26 gennaio 2010

naturaldurante

farraginoso il tempo non scivola via.
l'aria è fredda ed il cielo
usa le nuvole come coperte.
qua sotto io ed altra gente
continuiamo il nostro teatro
fra mani che odorano di sigarette
e spicci che tintinnano nelle tasche.

domenica 24 gennaio 2010

Sia una progressione di X che va da 1 a n

Ero in biblioteca che cercavo di combinare qualcosa. sono stato poi distratto da due ragazzine giunte e sedutesi qualche posto affianco al mio. soprassiedo sulla descrizione particolareggiata dell'aspetto e dell'abbigliamento, usero' giusto tre aggettivi riferibili indistintamente ed illogicamente ora all'aspetto ora all'abbigliamento: ricercato, gusto non troppo esagerato, costoso.

passano i minuti, una di loro prima di incominciare le grandi fatiche esce fuori, si mette a fumare una sigaretta in maniera contemplativa, guarada il cielo grigio e la bottiglia di the alla pesca che tiene in mano; chissà quante cose vuole ancora.

l'altra sembra piu' volenterosa, cincischia meno ed ha una montatura degli occhiali da vista quasi magnetica.

dopo circa un'ora interamente dedicata, in maniera scocciata, a, nell'ordine: blackbarry, disposizione in perfettamente sistematica di matite e penne e righelli sul tavolo da lavoro ed emissioni cicliche di aria dalla bocca dopo aver rigonfiato le guance, arriva una loro amichetta. questi è stata meno fortunata nell'aspetto, i greci avrebbero detto che la forma non era riuscita ad imporsi perfettamente nella materia.

le tre ragazze, che decido su due piedi di collocare temporalmente fra il primo ed il secondo anno di universita', escono fuori, fumano una sigaretta di pausa nel cortile aldilà del vetro che è di fronte a me. ridacchiano, si toccano molto i capelli stirati di fresco la mattina e fumano come nei film, semichiudendo gli occhi ad ogni tiro con espressione profonda e di godimento impostato.

mi volto per guardare i posti vuoti che hanno lasciato qualche sedia affianco a me, mille cose stazionano sul tavolo: è tutto in perfetto ordine, utensili da scrittura, portatili,libri, fotocopie, tutti ordinati e giacenti in silenzio sotto l'ombra di una torre: il tubetto di crema nivea hand anti-age.

vorrei tanto dire lor che non sono altro che il valore attuale di future donne depresse che, nella peggiore delle ipotesi, tenderanno al suicidio o quantomeno all'alcolismo, che in futuro riceveranno cicli progressivi di cose e sensazioni per diventare cosi', che sto imparando ad usare una formula che, se ci metti dentro i valori giusti, ti permette di dire fra quanto tempo cio' accadra', che non è colpa loro se la nivea hand anti age sara' la loro compagna di vita, che non è colpa loro tout court.

poi esito, realizzo di avere buttato via il pomeriggio e mi viene in mente, come al risveglio da una nottata sudata, che, se andassi a dire loro quello che ho pensato, potrebbero, anzi senza il condizionale potranno e lo faranno, dire benissimamente di farmi bellamente, ostinatamente, piacevolmente, tristemente, meravigliosamente, timidamente ed avverbialmente-chi-piu'-ne-ha-piu'-ne-metta, i cazzi miei.