pare funzioni così, ed allora se sei femmina ti si legge la mano sinistra, se sei maschio la mano destra e, comunque, dipende sempre dall'approccio che ha la persona che te la legge.
la donna gli puntò gli occhi come degli aghi fra i solchi della mano, con le sue dita si aiutava a distendere le linee per leggere meglio, forse anche madre natura certe volte aveva una grafia non chiara, e se madre natura fosse stata mancina anche lei? non gli era dato di sapere, in compenso stava ricevendo una serie di informazioni sul suo futuro sia a breve che a lungo termine.
la mano diceva che da un determinato momento della vita in poi, ma non sapeva dirgli se precedente o successivo a quel presente - ed in ogni caso lui poteva essere benissimamente in grado di stabilirlo e se non lo era non era un problema della donna - lui si sarebbe legato inscindibilmente con un'altra persona e con lei avrebbe condiviso la sua vita. intrecciati, questa era la parole che si era sentito dire.
era una persona passionale, e questo glielo concesse. alcuni bivi sul palmo della mano pare indicassero la necessità di fare una scelta a settant'anni fra morire presto o morire un pò dopo avendo uno stile di vita più sano. dopo tutto non era poi così male come notizia.
gli disse dei soldi, molti ma solo per lui e, soprattutto, non aveva capito la precisazione finale, quel "per te". forse i lettori di mani non dovevano necessariamente avere una coerenza nelle loro letture e poi, dopo tutto, certe domande troppo razionali potevano rovinare la fantasia reale.
avrebbe avuto due figli, e dal sorriso che la donna le faceva guardando la sua mano sembrava dovesse avere un futuro pieno di soddisfazioni e di gioia. pensò che in quei casi era impossibile capire cosa fosse marketing e cosa non lo fosse.
finì la consultazione che non gli costò nulla, si avvicinò al comptoir e mandò giù un cicchetto di whisky aiutandosi con una birra, uscì dal bar con un sacco di cose su cui fantasticare così da dimenticare il fatto di essere solo, si accese una sigaretta e si disse che fra 39 anni avrebbe dovuto scegliere fra smettere di vivere o morire.
sabato 27 marzo 2010
domenica 21 marzo 2010
pulizie di primavera (forse bis)
ho guardato il calendario e me ne sono accorto dopo una riflessione che è durata un pò troppo ed è giunta a compimento solo perché accelerata da qualche sorso del caffé di ieri, rigorosamente ed ingratamente scaldato nel micro onde.
vivaldi ti sembra d'obbligo ed accenni dei passi di danza abbracciando l'aspirapolvere, fida alleata nell'ennesima ìmpari battaglia contro le popolazioni polverose che abitano la moquette. le note si spandono nell'aria, le note si mettono a ballare a braccetto con le molecole di odore unto del lago che entrano silenziose dalla finestra, tutto questo volteggiare ti contagia ed allora i piedi scivolano su di ghiaccio peloso ma scivoloso, fra i calzini e la lana beige non v'è più attrito.
inizi a piegare dei vestiti, prima bene e poi ne hai abbastanza e dopo un pò la piegatura divene molto più che approssimativa, in conclusione prendi gli stracci sparsi un pò dappertutto e gli schiaffi nell'armadio affrettandoti a chiudere le ante, e plié mentre giri la chiave. tutti gli oggetti iniziano a volteggiare e ti verrebbe quasi voglia di dire che basta-un-poco-di-zucchero-e-la-pillola-va-giù la pillola va giù-ù: pezzi di carta strappati da quaderni e da pacchetti di sigarette si sollevano e fanno capolino nel pattume, bottiglie di plastica, cartoncini, penne scariche, biglietti del tram, lampadine, calzini spaiati e mutande ritrovate, arance rinsecchite, promo, carte di riso e canne di bambù..
tutto volteggio e tu cerchi di essere in armonia, l'aspirapolvere non è altro che un prolungamento del tuo corpo, le scale diventano mobili, ai piedi spuntano delle ali e scappi fuori dalla finestra, l'aspirapolvere è il tuo propulsore, voli sul lago, giri intorno al jet d'eau che oggi sembra meno illuminato ma è pur sempre lui, sorvoli la cattedrale, guardi la vita attraverso le finestre dei palazzi altrui, vedi la neve sulle montagne là in fondo che incomincia a sciogliersi, intravedi qualche raggio di sole, come gli occhi che si affacciano fuori da una coperta di nubi e si ritraggono toccati dalla luce, voglio dormire ancora un pò.
e ti domandi da dove provenga tutto questo movimento, e ti rispondi col nome di una stagione.
vivaldi ti sembra d'obbligo ed accenni dei passi di danza abbracciando l'aspirapolvere, fida alleata nell'ennesima ìmpari battaglia contro le popolazioni polverose che abitano la moquette. le note si spandono nell'aria, le note si mettono a ballare a braccetto con le molecole di odore unto del lago che entrano silenziose dalla finestra, tutto questo volteggiare ti contagia ed allora i piedi scivolano su di ghiaccio peloso ma scivoloso, fra i calzini e la lana beige non v'è più attrito.
inizi a piegare dei vestiti, prima bene e poi ne hai abbastanza e dopo un pò la piegatura divene molto più che approssimativa, in conclusione prendi gli stracci sparsi un pò dappertutto e gli schiaffi nell'armadio affrettandoti a chiudere le ante, e plié mentre giri la chiave. tutti gli oggetti iniziano a volteggiare e ti verrebbe quasi voglia di dire che basta-un-poco-di-zucchero-e-la-pillola-va-giù la pillola va giù-ù: pezzi di carta strappati da quaderni e da pacchetti di sigarette si sollevano e fanno capolino nel pattume, bottiglie di plastica, cartoncini, penne scariche, biglietti del tram, lampadine, calzini spaiati e mutande ritrovate, arance rinsecchite, promo, carte di riso e canne di bambù..
tutto volteggio e tu cerchi di essere in armonia, l'aspirapolvere non è altro che un prolungamento del tuo corpo, le scale diventano mobili, ai piedi spuntano delle ali e scappi fuori dalla finestra, l'aspirapolvere è il tuo propulsore, voli sul lago, giri intorno al jet d'eau che oggi sembra meno illuminato ma è pur sempre lui, sorvoli la cattedrale, guardi la vita attraverso le finestre dei palazzi altrui, vedi la neve sulle montagne là in fondo che incomincia a sciogliersi, intravedi qualche raggio di sole, come gli occhi che si affacciano fuori da una coperta di nubi e si ritraggono toccati dalla luce, voglio dormire ancora un pò.
e ti domandi da dove provenga tutto questo movimento, e ti rispondi col nome di una stagione.
martedì 16 marzo 2010
tiroqualina
e poi non gli si venga a chiedere "come stai"... non era mai stato un sostenitore della risposta sincera, come anche della risposta esagerata. si può dire che era solito modulare la risposta alla fatidica ed inflazionata domanda in conseguenza di chi fosse l'inquisitore più o meno disinteressato di turno.
La questione più seria era quella di sapere come rispondere al "come stai" se era lui stesso a porsi la domanda. che fare in questo caso, bluffare, mentire spudoratamente, esagerare, essere addirittura sincero?
come si suol dire, continuava a rigirarsi i pollici mentre se lo chiedeva ed era giunto alla conclusione, giusto nel momento in cui la cottura della pasta, futura pasta pomodoro e basilico, era oramai impossibile da recuperare, a meno di avere una macchina del tempo a disposizione neanche fosse una macchina per stendere la pasta all'uovo, che era quasi impossibile ottenere una risposta da quel cane che era lì, nel suo stomaco, e continuava a cercare di mordersi la coda a tutti i costi da non sapeva più quanto tempo. ma non gli girerà la testa prima o poi?
assaggiando la pasta scotta si disse che era vita anche quella.
La questione più seria era quella di sapere come rispondere al "come stai" se era lui stesso a porsi la domanda. che fare in questo caso, bluffare, mentire spudoratamente, esagerare, essere addirittura sincero?
come si suol dire, continuava a rigirarsi i pollici mentre se lo chiedeva ed era giunto alla conclusione, giusto nel momento in cui la cottura della pasta, futura pasta pomodoro e basilico, era oramai impossibile da recuperare, a meno di avere una macchina del tempo a disposizione neanche fosse una macchina per stendere la pasta all'uovo, che era quasi impossibile ottenere una risposta da quel cane che era lì, nel suo stomaco, e continuava a cercare di mordersi la coda a tutti i costi da non sapeva più quanto tempo. ma non gli girerà la testa prima o poi?
assaggiando la pasta scotta si disse che era vita anche quella.
domenica 14 marzo 2010
piume di struzzo
ho guardato la superficie del lago, nugoli di uccelli intenti a corteggiarsi. Cigni maestosi con le piume drizzate, gonfiati neanche fossero fatti di meringhe e panna montata. la Folaga, che talvolta assomiglia più ad una puzzola volante poiché nera con strisce di pelo bianco laterali, ingaggia duelli con altri pretendenti uomini a colpi di petto, allo stesso modo di un gruppo di amici ubriachi alla fine di una serata molesta che si sbattono petto contro petto ridendo e dicendosi "ancora una volta", a braccia aperte come se avessero delle ali. e poi c'è lo Smergo (maggiore) che già dal nome suscita simpatia. all'altezza della nuca il suo pelo si ribella alla regolarità della forma del suo corpo: un uccello spettinato che in maniera spettinata cerca una compagna ancor più spettinata per accoppiarsi.
il riverbero dei raggi
di un sole che finalmente
scalda
colora la scena,
e dietro le montagne,
e sopra cielo,
l'aria trasparente
è come effervescente
quando entra nei polmoni,
un ghigno di vita sul volto
la stagione dell'amore viene e va..
il riverbero dei raggi
di un sole che finalmente
scalda
colora la scena,
e dietro le montagne,
e sopra cielo,
l'aria trasparente
è come effervescente
quando entra nei polmoni,
un ghigno di vita sul volto
la stagione dell'amore viene e va..
venerdì 12 marzo 2010
milch
a volte uno torna a casa stanco e non ha voglia di dire nulla. poi le dita incominciano a battere sulla tastiera ed un mondo parallelo inizia a prendere forma. un luogo in cui sei tu a comandare e non c'è nulla che possa infastidirti, piena libertà di costruire lo scenario, di metterci dentro le parole e, se del caso, immaginare che qualcun altro le legga.
mi sono sempre piaciuti i rifugi, più quelli della mente che del corpo.
per per una strana ragione neuronale, appena pronuncio la parola rifugio, mi viene da pensare a quei chalets di montagna con musica tedesca ed il rumore degli scarponi in sottofondo, gli stessi che rendono robotica la camminata di chi li indossa. si, decisamente preferisco i rifugi della mente ai rifugi del corpo.
--------------------- ------------------------ --------------------
stamattina un martello pneumatico ha deciso di mettersi in funzone sotto la finestra della camera da letto. ho provato a inovattarmi nei miei pensieri del primo mattino, un possibile rifugio, ma non sono riuscito neanche a tirare fuori uno straccio di sceneggiatura onirica per distrarmi dai rumori della realtà. cosi' eccomi qua, a mangiare cereali in una tazza senza latte. ho fatto fatica a ricordarmi dove ero e cosa facevo il giorno della data della scadenza indicata sul cartone del latte da mezzo litro, solitario nel frigo ed esteticamente meraviglioso con il disgno di una mucca che vola, non ho capito se grazie al latte che produce lei stessa, oppure per qualita' sue, e quindi il suo latte è speciale. anche se propenderei piu' per la seconda, non ci voglio piu' pensare, francamente importa poco, visto che sto mangiando cereali a secco.
si, francamente poco importa.
ci vuole una scala di importanza nelle cose. ci vuole per rispettarla e poi dopo un po' che la si conosce bene dimenticarsene. iniziare a giocare con la forza di gravità, salire i gradini facendone tre alla volta, due alla volta, bloccarsi durante la discesa, cercare un appiglio con le mani, usare solo una gamba, saltare a piedi uniti...
io, la cosa che mi piace di piu', è fare lo scivolo sul passamano, ma non riesce bene con tutti i tipi di scale.
------------------- ------------------------- ------------------------
decisamente va meglio ora, quell'uno tornato a casa è riuscito a togliersi dalla mente un bel po' di stronzate della giornata appena conclusa. buona notte a tutti e buon week end.
mi sono sempre piaciuti i rifugi, più quelli della mente che del corpo.
per per una strana ragione neuronale, appena pronuncio la parola rifugio, mi viene da pensare a quei chalets di montagna con musica tedesca ed il rumore degli scarponi in sottofondo, gli stessi che rendono robotica la camminata di chi li indossa. si, decisamente preferisco i rifugi della mente ai rifugi del corpo.
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stamattina un martello pneumatico ha deciso di mettersi in funzone sotto la finestra della camera da letto. ho provato a inovattarmi nei miei pensieri del primo mattino, un possibile rifugio, ma non sono riuscito neanche a tirare fuori uno straccio di sceneggiatura onirica per distrarmi dai rumori della realtà. cosi' eccomi qua, a mangiare cereali in una tazza senza latte. ho fatto fatica a ricordarmi dove ero e cosa facevo il giorno della data della scadenza indicata sul cartone del latte da mezzo litro, solitario nel frigo ed esteticamente meraviglioso con il disgno di una mucca che vola, non ho capito se grazie al latte che produce lei stessa, oppure per qualita' sue, e quindi il suo latte è speciale. anche se propenderei piu' per la seconda, non ci voglio piu' pensare, francamente importa poco, visto che sto mangiando cereali a secco.
si, francamente poco importa.
ci vuole una scala di importanza nelle cose. ci vuole per rispettarla e poi dopo un po' che la si conosce bene dimenticarsene. iniziare a giocare con la forza di gravità, salire i gradini facendone tre alla volta, due alla volta, bloccarsi durante la discesa, cercare un appiglio con le mani, usare solo una gamba, saltare a piedi uniti...
io, la cosa che mi piace di piu', è fare lo scivolo sul passamano, ma non riesce bene con tutti i tipi di scale.
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decisamente va meglio ora, quell'uno tornato a casa è riuscito a togliersi dalla mente un bel po' di stronzate della giornata appena conclusa. buona notte a tutti e buon week end.
domenica 7 marzo 2010
in principio fu il verbo
e non mi si venga a dire che qualcuno l'aveva già detto, o che si poteva cercare l'informazione su internet o che-so-io.
il bello delle cose sta spesso e solamente nell'annunciarle. esistono moltissime persone che nella loro concezione verbale del mondo (nozione che mi ripropongo di elaborare e chiarire quanto prima) fanno un sacco di cose.
non è una questione di essere farfalloni o meno, se si guarda bene la quastione le ragioni possono essere più profonde. infatti tutto dipende dal livello di severità e di indulgenza che si ha con se stessi, dalla necessità di dire delle cose o, più precisamente, il fatto che ci sia qualcuno ad ascoltarle e poi, fortunatamente, se ne dimentichi subito.
il fatto di dire di fare qualcosa o, nelle ipotesi più diffuse, dire di voler fare qualcosa, spesso rilassa la motivazione per fare quella tal cosa. avere esternato il pensiero di voler fare quel qualcosa corrisponde a l'averla fatta. è come se l'annuncio ci attribuisca uno status che le persone dovrebbero notare subito, come se ci fossimo auto-taggati nel mondo reale. ma la cosa che sfugge è che si tratta di un tag nel mondo delle parole e non della realtà.
mi rendo conto che svegliarsi una domenica mattina e tirare fuori questi pensieri potrebbe essere una buona ragione per essere mandato, letteralmente, a cagare; o lo posso anche accettare anzi, sai che ti dico, seguo letteralmente il consiglio e letteralmente vado a cagare: non importa se ci andrò davvero o no a sedermi sulla tazza, è importante averlo detto.
mi sono accorto che ho dimenticato la cosa principale che volevo dire, ragione per cui ero partito dalla bellezza degli annunci. Ebbene, per fare un uovo alla coque lo si deve cuocere in acqua bollente per tre minuti, esatti, se si scapella in eccesso non si ha più un uovo alla coque, ma un uovo quasi sodo.
ultima cosa a proposito delle uova: da noi in italia il rosso d'uovo si chiama rosso d'uovo, nei paesi francofoni il rosso d'uovo si chiama giallo d'uovo.
il bello delle cose sta spesso e solamente nell'annunciarle. esistono moltissime persone che nella loro concezione verbale del mondo (nozione che mi ripropongo di elaborare e chiarire quanto prima) fanno un sacco di cose.
non è una questione di essere farfalloni o meno, se si guarda bene la quastione le ragioni possono essere più profonde. infatti tutto dipende dal livello di severità e di indulgenza che si ha con se stessi, dalla necessità di dire delle cose o, più precisamente, il fatto che ci sia qualcuno ad ascoltarle e poi, fortunatamente, se ne dimentichi subito.
il fatto di dire di fare qualcosa o, nelle ipotesi più diffuse, dire di voler fare qualcosa, spesso rilassa la motivazione per fare quella tal cosa. avere esternato il pensiero di voler fare quel qualcosa corrisponde a l'averla fatta. è come se l'annuncio ci attribuisca uno status che le persone dovrebbero notare subito, come se ci fossimo auto-taggati nel mondo reale. ma la cosa che sfugge è che si tratta di un tag nel mondo delle parole e non della realtà.
mi rendo conto che svegliarsi una domenica mattina e tirare fuori questi pensieri potrebbe essere una buona ragione per essere mandato, letteralmente, a cagare; o lo posso anche accettare anzi, sai che ti dico, seguo letteralmente il consiglio e letteralmente vado a cagare: non importa se ci andrò davvero o no a sedermi sulla tazza, è importante averlo detto.
mi sono accorto che ho dimenticato la cosa principale che volevo dire, ragione per cui ero partito dalla bellezza degli annunci. Ebbene, per fare un uovo alla coque lo si deve cuocere in acqua bollente per tre minuti, esatti, se si scapella in eccesso non si ha più un uovo alla coque, ma un uovo quasi sodo.
ultima cosa a proposito delle uova: da noi in italia il rosso d'uovo si chiama rosso d'uovo, nei paesi francofoni il rosso d'uovo si chiama giallo d'uovo.
venerdì 5 marzo 2010
influssi di flussi
il paesaggio schiarito lo aveva ingannato. l'abbigliamento si era rivelato in tutta la sua leggerezza al contatto con la temperatura esterna: il sole c'era ma era come di carta, non scaldava. aveva pensato che la sensazione era simile a quella che si prova sollevando un pezzo di marmo di polistirolo.
Mise le mani insensibili nelle tasche neanche fossero degli arti estranei, e si incamminò verso una giornata tutta da scoprire.
ben presto si rese conto che ci sarebbe stato ben poco da scoprire, si sarebbe trattato di un giorno da disadattato. gliene ne capitava almeno uno ogni tre ricariche di cellulare, quindi, a seconda della nazione in cui si trovava, ogni sei o sessanta giorni lavorativi.
al primo sorriso spacciato sinceramente si accorse che il fatto stesso di averlo spacciato aveva causato nel suo destinatario una certa dose di diffidenza. rifletté sul fatto che i sorrisi forse andavano offerti pubblicamente invece di essere spacciati.
poi ci si era messo anche il multimat, strano aggeggio che sostituisce un impiegato di una banca che, senza neanche avvertirlo, si era inghiottito la sua carta.
si era immaginato lo stomaco del multimat: una stanza meccanica dove le tessere bancomat si depositavano come strati di pasta sfoglia tutte tremanti sotto gli occhi dei secondini a transistors. grazie a questa immagine, un mezzo gaudio si fece strada nella sua mente pensando al destino economicamente comune dei proprietari di ciò che, oramai, non era altro che un insieme di strati di pasta sfoglia ripieni di crema al microchip.
ebbe la certezza della giornata da disadattato quando tutta una serie di domande che si affacciavano al balcone dei suoi pensieri mettevano fuori giusto la testa, uno sguardo fugace alla fredda realtà, e poi si ritraevano fra le calde sinapsi.
pensò che forse le giornate da disadattato sono inversamente proporzionali al senso critico e che, paradossalmente, i pregiudizi potevano salvarlo offrendogli una soffice coperta in cui arrotolarsi fino all'arrivo della primavera.
andava di fretta, dimenticava cose fondamentali, ritornava indietro. desiderava il divano.
finalmente in fondo alla giornata rientrò, aprì la scatoletta magica per dare un taglio netto a quel 5 marzo che persino il cellulare gli segnalava come il 6, e scoprì, restando zen, che fra gli attrezzi gliene mancava uno, non sufficiente e pur tuttavia necessario, almeno il tabacchi era giusto sotto casa..
Mise le mani insensibili nelle tasche neanche fossero degli arti estranei, e si incamminò verso una giornata tutta da scoprire.
ben presto si rese conto che ci sarebbe stato ben poco da scoprire, si sarebbe trattato di un giorno da disadattato. gliene ne capitava almeno uno ogni tre ricariche di cellulare, quindi, a seconda della nazione in cui si trovava, ogni sei o sessanta giorni lavorativi.
al primo sorriso spacciato sinceramente si accorse che il fatto stesso di averlo spacciato aveva causato nel suo destinatario una certa dose di diffidenza. rifletté sul fatto che i sorrisi forse andavano offerti pubblicamente invece di essere spacciati.
poi ci si era messo anche il multimat, strano aggeggio che sostituisce un impiegato di una banca che, senza neanche avvertirlo, si era inghiottito la sua carta.
si era immaginato lo stomaco del multimat: una stanza meccanica dove le tessere bancomat si depositavano come strati di pasta sfoglia tutte tremanti sotto gli occhi dei secondini a transistors. grazie a questa immagine, un mezzo gaudio si fece strada nella sua mente pensando al destino economicamente comune dei proprietari di ciò che, oramai, non era altro che un insieme di strati di pasta sfoglia ripieni di crema al microchip.
ebbe la certezza della giornata da disadattato quando tutta una serie di domande che si affacciavano al balcone dei suoi pensieri mettevano fuori giusto la testa, uno sguardo fugace alla fredda realtà, e poi si ritraevano fra le calde sinapsi.
pensò che forse le giornate da disadattato sono inversamente proporzionali al senso critico e che, paradossalmente, i pregiudizi potevano salvarlo offrendogli una soffice coperta in cui arrotolarsi fino all'arrivo della primavera.
andava di fretta, dimenticava cose fondamentali, ritornava indietro. desiderava il divano.
finalmente in fondo alla giornata rientrò, aprì la scatoletta magica per dare un taglio netto a quel 5 marzo che persino il cellulare gli segnalava come il 6, e scoprì, restando zen, che fra gli attrezzi gliene mancava uno, non sufficiente e pur tuttavia necessario, almeno il tabacchi era giusto sotto casa..
mercoledì 3 marzo 2010
To freddy with all my mistakes and my chili pepper
I went there to say hello to some friends. The second day, in the afternoon, my dandy friend forbad me to drink water with his left hand. Red wine sometimes is delightful, some others is liquid headache in a bottle. In Albion it is always delightful especially with a sandwich made of dry tomatoes and shining kindness.
Cigarettes were like minutes in the white warm flat somewhere in Camdentown, waiting for somebody like waiting for Godot. My bladder start to be tired when the sun went down and people, not like godot, arrived with ice, bottles and a lot of words coming out from their mouths.
My stomach started to speak english with the others and it was time to have dinner, but last gin & tonic, please!
Again somewhere, in Soho, spanish red wine in ours galasses, people with noses, big noses, people with hairs, long hairs, people with surenames, a lot of surnames.
"Take it, take another little peace of my heart" but the girl at the door didn't like Janis Joplin. Me and my friend had to smoke a cigarette, i had to drink some water and leave my wings at the entrance. You have to be calm in the club, like in a church, you can't dance with people especcially in the V.I.P. zone, you can't drink from the bottle even if there is not fucking glasses at your table, you can sing, yes if you want you can sing moving a little your legs and clapping your hands like in a church, as i said. But the funny part of the story comes if you do all that is forbidden.
And than it was time to go, to take your coat from the wardrobe, to lose your wings and the guys that were with you.
I was outside, without my address and without my wings, looking for an hotel. At the third attempt i decided that i wanted to book a room in french. the consiege didn't speak french even if a fucking consiege is supposed to speak french too. I said to him that he was a fucking consiege of an hotel and he was supposed to speak french too, because i wanted to take a room in french and not in english. He said fuck off, i said fuck off too and showed him the middle french finger.
I continued to walk with all the possible pride in my chest, it was impossible, after all the english day, to sleep in english. Anyway, the 149 N ended me up in Camdentown and a taxy on a sofa by liverpool station.
Mesdames et Messierus bienvenue à...I woked up, sitted on a landed plane, a britsh airways steward asked me if i was feeling better and i grumbled something like sweet/ sweet/ sweet love, sweetest hangover..
Cigarettes were like minutes in the white warm flat somewhere in Camdentown, waiting for somebody like waiting for Godot. My bladder start to be tired when the sun went down and people, not like godot, arrived with ice, bottles and a lot of words coming out from their mouths.
My stomach started to speak english with the others and it was time to have dinner, but last gin & tonic, please!
Again somewhere, in Soho, spanish red wine in ours galasses, people with noses, big noses, people with hairs, long hairs, people with surenames, a lot of surnames.
"Take it, take another little peace of my heart" but the girl at the door didn't like Janis Joplin. Me and my friend had to smoke a cigarette, i had to drink some water and leave my wings at the entrance. You have to be calm in the club, like in a church, you can't dance with people especcially in the V.I.P. zone, you can't drink from the bottle even if there is not fucking glasses at your table, you can sing, yes if you want you can sing moving a little your legs and clapping your hands like in a church, as i said. But the funny part of the story comes if you do all that is forbidden.
And than it was time to go, to take your coat from the wardrobe, to lose your wings and the guys that were with you.
I was outside, without my address and without my wings, looking for an hotel. At the third attempt i decided that i wanted to book a room in french. the consiege didn't speak french even if a fucking consiege is supposed to speak french too. I said to him that he was a fucking consiege of an hotel and he was supposed to speak french too, because i wanted to take a room in french and not in english. He said fuck off, i said fuck off too and showed him the middle french finger.
I continued to walk with all the possible pride in my chest, it was impossible, after all the english day, to sleep in english. Anyway, the 149 N ended me up in Camdentown and a taxy on a sofa by liverpool station.
Mesdames et Messierus bienvenue à...I woked up, sitted on a landed plane, a britsh airways steward asked me if i was feeling better and i grumbled something like sweet/ sweet/ sweet love, sweetest hangover..
martedì 2 marzo 2010
la gestione dei conflitti
dopo qualche ora con una persona in possesso di un cervello stupefacente, e questo è un giudizio che esprimo nel pieno delle mie facoltà mentali, mi sono venute a cascata una serie di riflessioni delle quali vi parlerò, non prima ovviamente di aver fatto una degna digressione in uno degli argomenti su cui preferisco disquisire ultimamente (e non c'è bisogno di links, credo) e cioè la toilette, o meglio, il buon comportamento da avere quando si è un ambiente del genere che, ontologicamente, è un ambiente di merda.
ebbene un dubbio amletico mi si è presentato: supponiamo che entri in una toilette più o meno pubblica, non il bagno di casa tua dove sei da solo. sei in piedi - ragione per cui al quesito non potranno rispondere le donne e con questo non voglio essere maschilista, diciamo che non lo sono neanche per vocazione, credetemi - e fai pipì. sei serio, guardi davanti a te e leggi geberit (magari ti domandi come cazzo è che di fronte ai cessi in piedi c'è sempre un quadrato cromato o in plastica su cui in un angolino c'è scritto geberit) e senti i rumori tupici di una toilette: scrosci d'acqua, getti d'aria, porte che si aprono e si chiudono.
Ebbene, se nel momento in cui sei in piedi e fai pipì senti la necessità di fare uscire dell'aria usando gli sfinteri, cosa fai, la fai uscire contemporaneamente anche se c'è qualcuno affianco che è dedito allo svuotamento della vescica come te, con il rischio di urtarne la sensibilità, oppure termini l'operazione dell'orinare e vai nel gabbiotto per liberarti dell'aria in eccesso nel tuo intestino? è chiaro che se sei da solo non ti poni neanche la domanda. e vale lo stesso per i rutti? possiamo considerare lo spazio racchiuso fra quattro mura e chiamato toilette come una zona franca?
adesso mi riallaccio all'introduzione. le riflessioni a cascata di cui dicevo sopra finiscono nel laghetto affermativo seguente:
spesso non si sanno le risposte perché sono le domande ad essere mal poste.
ebbene un dubbio amletico mi si è presentato: supponiamo che entri in una toilette più o meno pubblica, non il bagno di casa tua dove sei da solo. sei in piedi - ragione per cui al quesito non potranno rispondere le donne e con questo non voglio essere maschilista, diciamo che non lo sono neanche per vocazione, credetemi - e fai pipì. sei serio, guardi davanti a te e leggi geberit (magari ti domandi come cazzo è che di fronte ai cessi in piedi c'è sempre un quadrato cromato o in plastica su cui in un angolino c'è scritto geberit) e senti i rumori tupici di una toilette: scrosci d'acqua, getti d'aria, porte che si aprono e si chiudono.
Ebbene, se nel momento in cui sei in piedi e fai pipì senti la necessità di fare uscire dell'aria usando gli sfinteri, cosa fai, la fai uscire contemporaneamente anche se c'è qualcuno affianco che è dedito allo svuotamento della vescica come te, con il rischio di urtarne la sensibilità, oppure termini l'operazione dell'orinare e vai nel gabbiotto per liberarti dell'aria in eccesso nel tuo intestino? è chiaro che se sei da solo non ti poni neanche la domanda. e vale lo stesso per i rutti? possiamo considerare lo spazio racchiuso fra quattro mura e chiamato toilette come una zona franca?
adesso mi riallaccio all'introduzione. le riflessioni a cascata di cui dicevo sopra finiscono nel laghetto affermativo seguente:
spesso non si sanno le risposte perché sono le domande ad essere mal poste.
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