mentre guidavo per salire di quota ho pensato che potrei scrivere una storia su me stesso nella quale mi descrivo esattamente, senza scampo.
in questa storia poi capita a me stesso di leggere la storia e, messo di fronte alla realtà di un me stesso smascherato, tento il suicidio con successo. così poi ce l'ho con me stesso per tutto il resto della vita.
dopo mi sono fermato per fare benzina ed ho perso il filo del ragionamento, cosa di cui sono contento. ci pensi a prendermela con me stesso per il resto della mia vita e per di più per il fatto di essermi suicidato?
per una volta in una disputa con me stesso ho avuto ragione io e non l'altro come sempre. mi sa che sta storia la scrivo su qualcun altro, se poi se si suicida cazzi suoi, io non l'ho fatto apposta.
anzi, facciamo che mi tocco le palle, non ci penso più e vado a dormire. oggi è stata una giornata abbastanza lunga.
sabato 27 febbraio 2010
giovedì 25 febbraio 2010
La pigrizia è il motore che muove l'uomo moderno
ci stavo pensando un attimo prima di addormentarmi, poi questa frase fatta di luci al neon bianche ed intermittenti - la pigrizia e' il motore che muove l'uomo moderno - mi si è presentata davanti alle palpebre ogni volta che provavo a chiudere gli occhi e ha incominciato ad impedirmi di dormire.
ci ho ripensato nel mio non sonno ed effettivamente credo sia vero.
non parlo della pigrizia che non ti fa fare lo sport, che magari non fare sport a volte è anche salutare. non me lo sto inventando io, lo ha detto Winston Churchill che campo' oltre gli ottanta anni a forza di sigari ( c'é una marca di sigari che si chiama come lui) e, da buon inglese, gin & tonic.
Parlo di quella pigrizia che fa usare la calcolatrice al negoziante per capire quanto resto di deve dare se paghi 6 euro e 80 e gli dai 10 euro; parlo della pigrizia che non ti fa mettere la "o" in mezzo alle due enne per scrivere "non", anche se il numero di caratteri non ha un prezzo; parlo della pigrizia di coloro che non hanno neanche la buona volontà di domandarsi se un'accento ci va o no su quella determinata e fottutissima "e" e che non si chiedono mai, neanche per sogno se, magari, ogni tanto qua e là un cazzo di accento lo dovrebbero mettere almeno per scrupolo, in dubio pro accento! parlo dell'insormontabile pigrizia che si presenta al momento di fare la raccolta differenziata, pigrizia dell'utente e del raccogliente (perché per esempio in inghilterra, come utente, devi dividere solo il grosso, il resto lo fanno le società che si occupano dello smaltimento, che poi se ne occupano davero); parlo della pigrizia di dover fare un controllo in piu' per fare le cose in regola o per scoprire se le cose sono state fatte in regola o studiare bene una problema per cercare di fare delle buone regole; parlo della pigrizia che ci fa prendere la macchina per fare duecento metri a piedi e, al riguardo, scuso solo chi ha delle protesi alle gambe, che poi, alla fine, loro invece la macchina non la prendono neache; parlo della pigrizia degli scienziati della finanza che, quando gli spiegarono i prodotti strutturati sui mutui americani, le subprime, si fidarono sulla parola ed accettarono di distribuirli sul mercato senza domandarsi se ste formule astruse funzionavano o erano uguli alla titrizzazione dei peli del mio pube e dunque un nulla matematico! parlo della pigrizia del "tanto fanno tutti cosi'" che é quella peggiore e mi ha fatto già innervosire solo scriverla e spero anche a voi nel leggerla; parlo della pigrizia di non avere voglia; parlo della pigrizia di pensare davvero alle cose, anche se già di per sé "pensare davvero" secondo me è un pleonasmo.
è come della sabbia che si inserisce negli ingranaggi del pensiero, prorpio nel passaggio fra il pensiero e l'azione, alla giuntura, fino a bloccare definitivamente tutto il marchingegno, cosi' i gesti sono mossi da non pensieri.
quindi se, nonostante la pigrizia, volessimo chiudere il sillogismo, esso diviene: l'uomo moderno è mosso da non pensieri.
magari le cose pero' non stanno cosi' male, i sillogismi a volte mentono, o meglio sono un modo per vendere per buone delle cose che buone in realtà non sono; occorre diffidare dei sillogismi e della troppa razionalita', seno' ci si annoia. quindi, almeno , spero che non sia proprio tutto cosi'.
adesso me ne vado a dormire e lascio pure una canzone piu' o meno in tema, ci tengo pero' a sottolineare che "lazy" vuol dire "pigro", casomai, nonostante l'eloquenza del video, quella sabbia, avendo gia' bloccato gli ingranaggi, non vi blocchi la voglia di saperlo!
un ultima cosa, cosi' evito anche di starvi sul cazzo: della traduzione a me l'hanno detto, mica l'ho capito o me lo sono cercato sul vocabolario..
buon ascolto.
ci ho ripensato nel mio non sonno ed effettivamente credo sia vero.
non parlo della pigrizia che non ti fa fare lo sport, che magari non fare sport a volte è anche salutare. non me lo sto inventando io, lo ha detto Winston Churchill che campo' oltre gli ottanta anni a forza di sigari ( c'é una marca di sigari che si chiama come lui) e, da buon inglese, gin & tonic.
Parlo di quella pigrizia che fa usare la calcolatrice al negoziante per capire quanto resto di deve dare se paghi 6 euro e 80 e gli dai 10 euro; parlo della pigrizia che non ti fa mettere la "o" in mezzo alle due enne per scrivere "non", anche se il numero di caratteri non ha un prezzo; parlo della pigrizia di coloro che non hanno neanche la buona volontà di domandarsi se un'accento ci va o no su quella determinata e fottutissima "e" e che non si chiedono mai, neanche per sogno se, magari, ogni tanto qua e là un cazzo di accento lo dovrebbero mettere almeno per scrupolo, in dubio pro accento! parlo dell'insormontabile pigrizia che si presenta al momento di fare la raccolta differenziata, pigrizia dell'utente e del raccogliente (perché per esempio in inghilterra, come utente, devi dividere solo il grosso, il resto lo fanno le società che si occupano dello smaltimento, che poi se ne occupano davero); parlo della pigrizia di dover fare un controllo in piu' per fare le cose in regola o per scoprire se le cose sono state fatte in regola o studiare bene una problema per cercare di fare delle buone regole; parlo della pigrizia che ci fa prendere la macchina per fare duecento metri a piedi e, al riguardo, scuso solo chi ha delle protesi alle gambe, che poi, alla fine, loro invece la macchina non la prendono neache; parlo della pigrizia degli scienziati della finanza che, quando gli spiegarono i prodotti strutturati sui mutui americani, le subprime, si fidarono sulla parola ed accettarono di distribuirli sul mercato senza domandarsi se ste formule astruse funzionavano o erano uguli alla titrizzazione dei peli del mio pube e dunque un nulla matematico! parlo della pigrizia del "tanto fanno tutti cosi'" che é quella peggiore e mi ha fatto già innervosire solo scriverla e spero anche a voi nel leggerla; parlo della pigrizia di non avere voglia; parlo della pigrizia di pensare davvero alle cose, anche se già di per sé "pensare davvero" secondo me è un pleonasmo.
è come della sabbia che si inserisce negli ingranaggi del pensiero, prorpio nel passaggio fra il pensiero e l'azione, alla giuntura, fino a bloccare definitivamente tutto il marchingegno, cosi' i gesti sono mossi da non pensieri.
quindi se, nonostante la pigrizia, volessimo chiudere il sillogismo, esso diviene: l'uomo moderno è mosso da non pensieri.
magari le cose pero' non stanno cosi' male, i sillogismi a volte mentono, o meglio sono un modo per vendere per buone delle cose che buone in realtà non sono; occorre diffidare dei sillogismi e della troppa razionalita', seno' ci si annoia. quindi, almeno , spero che non sia proprio tutto cosi'.
adesso me ne vado a dormire e lascio pure una canzone piu' o meno in tema, ci tengo pero' a sottolineare che "lazy" vuol dire "pigro", casomai, nonostante l'eloquenza del video, quella sabbia, avendo gia' bloccato gli ingranaggi, non vi blocchi la voglia di saperlo!
un ultima cosa, cosi' evito anche di starvi sul cazzo: della traduzione a me l'hanno detto, mica l'ho capito o me lo sono cercato sul vocabolario..
buon ascolto.
mercoledì 24 febbraio 2010
quisque de populo
dopo qualche tempo stasera ho sbirciato nella televisione italiana. mi è capitato un programma abbastanza interessante sulla politica. ora, io non voglio parlare di politica, è l'ultima cosa che mi sogno di fare in questo mio spazio digitale. la riflessione che voglio fare però, trattandosi di spazio autoreferenziale, riguarda la certezza inconfutabile che con le parole si può dire, per usare un'espressione comune, tutto ed il contrario di tutto. la differenza sta solo nelle orecchie di chi ascolta.
parlando di chi ascolta, non sarò nè il primo nè l'ultimo a dire che noi italiani, come componenti del popolo, siamo oggigiorno poco equipaggiati di coscienza civile e soprattutto critica rispetto a quello che ascoltiamo.
quando parla una persona ad un uditorio che è un Paese, il soggetto che ascolta non è un insieme di tutte le persone che compongono il popolo, ma Il Popolo, cioé un soggetto collettivo che ha una coscienza polverizzata e che, come diceva george brassens (se si è in più di tre si è coglioni), è un coglione.
quando i componenti del soggetto collettivo escono da questa essenza di uditorio per fare delle scelte personali sulla base di una coscienza critica che già di per sé è scarsa, ed è ancor di più diminuita dall'essere stai parte del soggetto collettivo nell'ascoltare, succedono i patatrac.
trattasi di uno status quo.
viva san remo!
parlando di chi ascolta, non sarò nè il primo nè l'ultimo a dire che noi italiani, come componenti del popolo, siamo oggigiorno poco equipaggiati di coscienza civile e soprattutto critica rispetto a quello che ascoltiamo.
quando parla una persona ad un uditorio che è un Paese, il soggetto che ascolta non è un insieme di tutte le persone che compongono il popolo, ma Il Popolo, cioé un soggetto collettivo che ha una coscienza polverizzata e che, come diceva george brassens (se si è in più di tre si è coglioni), è un coglione.
quando i componenti del soggetto collettivo escono da questa essenza di uditorio per fare delle scelte personali sulla base di una coscienza critica che già di per sé è scarsa, ed è ancor di più diminuita dall'essere stai parte del soggetto collettivo nell'ascoltare, succedono i patatrac.
trattasi di uno status quo.
viva san remo!
martedì 23 febbraio 2010
un etto di parole per favore
sono entrato dietro la pagina del blog per armeggiare senza un'idea precisa, diciamo che mi ero stancato di willy miller e del presepe, soprattutto perché ieri, per qualche minuto, ho assaggiato l'aria là fuori: aveva un sapore diverso, era meno pungente e gli strati di cacamir erano davvero un surplus.
sta arrivando, con calma ma sta arrivando, e non smetto di meravigliarmi del fatto di meravigliarmi ogni volta.
sta arrivando, con calma ma sta arrivando, e non smetto di meravigliarmi del fatto di meravigliarmi ogni volta.
domenica 21 febbraio 2010
willy miller
quando willy si ammalava era sempre incazzato con il mondo. non fosse per la delicatezza dei suoi bronchi, emersa in tutto il suo essere dopo la rimozione chirurgica delle tonsille, la sua qualità della vita sarebbe risultata migliore, a suo parere.
in realtà non cambiava poi tanto avere una bronchite od una tonsillite, ma la capacità di riflessione di willy era assolutamente irretroattiva.
e non serviva a nulla il fatto che fuori ci fosse il sole inaspettato di una giornata di fine febbraio, che si riuscissero a vedere nitidamente dalla finestra le montagne macchiate di neve che gli facevano pensare alla farina che si fa cadere sulle montagne di carta dei presepi di natale.
avrebbe voluto che i suoi bronchi rispondessero alle medesime logiche dei presepi, nessun senso della proporzione, della prospettiva, in una parola della realtà.
così un colpo di tosse sarebbe stato il cane che mette il muso nel presepe facendo cadere il mugnaio troppo grande rispetto alla sua casa, del muco sarebbe stato della semplice carta stagnola che rappresentava un fiume sul quale passava un ponte, anch'esso troppo piccolo per il panettiere che si apprestava a camminarci sopra, le difficoltà di respirazione sarebbero state l'affanno dei re magi che, a cavallo o sul cammello, questo willy non l'aveva mai capito, si apprestavano a scalare le montagne di carta ricoperte di farina gelida.
per fortuna esisteva la fantasia, l'immaginazione che, anche se non servivano a niente, per lo meno gli facevano dimenticare per qualche secondo il vaffanculo periodico che rivolgeva al mondo quando i suoi bronchi gli ricordavano la loro esistenza, e gli facevano spostare l'attenzione su quel mugnaio troppo grande per entrare nella sua casa. cazzone!
in realtà non cambiava poi tanto avere una bronchite od una tonsillite, ma la capacità di riflessione di willy era assolutamente irretroattiva.
e non serviva a nulla il fatto che fuori ci fosse il sole inaspettato di una giornata di fine febbraio, che si riuscissero a vedere nitidamente dalla finestra le montagne macchiate di neve che gli facevano pensare alla farina che si fa cadere sulle montagne di carta dei presepi di natale.
avrebbe voluto che i suoi bronchi rispondessero alle medesime logiche dei presepi, nessun senso della proporzione, della prospettiva, in una parola della realtà.
così un colpo di tosse sarebbe stato il cane che mette il muso nel presepe facendo cadere il mugnaio troppo grande rispetto alla sua casa, del muco sarebbe stato della semplice carta stagnola che rappresentava un fiume sul quale passava un ponte, anch'esso troppo piccolo per il panettiere che si apprestava a camminarci sopra, le difficoltà di respirazione sarebbero state l'affanno dei re magi che, a cavallo o sul cammello, questo willy non l'aveva mai capito, si apprestavano a scalare le montagne di carta ricoperte di farina gelida.
per fortuna esisteva la fantasia, l'immaginazione che, anche se non servivano a niente, per lo meno gli facevano dimenticare per qualche secondo il vaffanculo periodico che rivolgeva al mondo quando i suoi bronchi gli ricordavano la loro esistenza, e gli facevano spostare l'attenzione su quel mugnaio troppo grande per entrare nella sua casa. cazzone!
mercoledì 17 febbraio 2010
il principe della mandorla riccia
tra il 1485 ed il 1603 nessuno ci aveva mai pensato, e neanche negli anni successivi alla fine della dinastia con la morte di elisabetta ed il passaggio agli stuart. nessuno aveva mai pensato all'idea che qualche 500 anni dopo ivo sarebbe passato fra i corridoi della national portraits gallery pensando che fosse la national gallery, rimanendo a bocca aperta.
sale magnifiche, ampie blu verdi e dorate, luce indiretta e cornici quasi più preziose dei dipinti stessi. da un lato Sterne ed il suo tristram shandy che ancora oggi vive, dall'altro tommaso moro tutto mento e naso prominenti che è già nell'atto di pensare all'utopia, il duca tal dei tali, gli wellinghton, i cavendish, tutte facce di uomini con lo sguardo da strateghi militari, tutti hanno all'attivo un tot di battaglie o di pagine scritte che sono poi finite in altre pagine scritte e che raccontano la storia della storia. le pellicce di ermellino dei lords nella loro house di una perfezione da togliere il fiato, i riflessi del pelo lucente, piccolo particolare di una tela maestosa con centinaia di figure umane.
rifletté su una cosa guardando il ritratto del principe nonricordoilnome, ma si trattava del fratello di elisabetta, morto giovane di una malattia tipo tisi pronunciando come ultime parole prima di morire "dov'è la mia adorata sorella?". pare che questi fosse accompagnato costantemente da un ritrattista che aveva il compito di lasciare ai posteri un'iconografia del principe, e così valeva per tutta la dinastia. le macchine digitali di un tempo si chiamavano ritrattisti ed erano a forma di essere umano. una cosa invece che è rimasta sotto forma di essere umano così come allora, sono i raccontatori di storie, ancora non ne abbiamo inventati di digitali anche se, forse, qualche software esiste.
tutta questa eleganza, i nasi prominenti dei mezzi busti, i tessuti sfarzosi che erano stati inventati esattamente per poter poi usare la parola sfarzosi per descriverli- con tutto il corollario di opulent, sumptuous, princely- ebbero un effetto "elevante" su ivo che, quando uscì, camminava con il petto in fuori, degno e non curante dell'acqua che cadeva, mille gocce e mille persone in continum, un fiume verticale di acqua in cascata verso un fiume orizzontale di persone in movimento.
aveva fame, prese uno slice di margherita e rifiutò magnanimamente la bevanda free che andava avec, si rimise nel fiume ed un uomo barbuto gli mendicò aiuto, lui gli porse la margherita che stava per mangiare,l'uomo la prese riconoscente azzannandola di un colpo, Ivo si sentì un principe che concedeva qualcosa al popolo, si rimise le mani in tasca e si diresse sorridente ed affamato verso l'underground, lui, i suoi pensieri ed il suo essere principe della mandorla riccia.
La dinastia della mandorla riccia, una dinastia che vola low cost, si muove fra lavoretti e sussidi famigliari, quasi mai sussidi dello stato quantomeno italiano, usa la visa electron perché 10 euro in più per il pagamento on-line con visa classic stanno un pò sul cazzo, compra pacchetti di sigarette da 10, mette 5 euro di benzina e pensa di dover andare lontano, scopre prodotti validi dai nomi improbabili nei discounts, opta, se possibile, per il free riding in materia di trasporti pubblici, si ostina a chiedere lo sconto studenti anche se la card è vecchia di qualche anno, a volte bleffa sull'età per ricevere uno sconto su qualcosa e non disdegna la birra in lattina (chiara o scura), adora lo champagne, soprattutto quando è l'amico franco a portarne una bottiglia, ha ricevuto un'educazione cattolica ma in fondo non ci crede tanto, veste bene ed adora rimandare fino all'ultimo istante dell'ultimo momento.
se vi sentte in linea, la dinastia della mandorla riccia sarà felice di accogliervi nel suo albero genealogico : God saves us, God saves the Queen, God saves the curly almond!
sale magnifiche, ampie blu verdi e dorate, luce indiretta e cornici quasi più preziose dei dipinti stessi. da un lato Sterne ed il suo tristram shandy che ancora oggi vive, dall'altro tommaso moro tutto mento e naso prominenti che è già nell'atto di pensare all'utopia, il duca tal dei tali, gli wellinghton, i cavendish, tutte facce di uomini con lo sguardo da strateghi militari, tutti hanno all'attivo un tot di battaglie o di pagine scritte che sono poi finite in altre pagine scritte e che raccontano la storia della storia. le pellicce di ermellino dei lords nella loro house di una perfezione da togliere il fiato, i riflessi del pelo lucente, piccolo particolare di una tela maestosa con centinaia di figure umane.
rifletté su una cosa guardando il ritratto del principe nonricordoilnome, ma si trattava del fratello di elisabetta, morto giovane di una malattia tipo tisi pronunciando come ultime parole prima di morire "dov'è la mia adorata sorella?". pare che questi fosse accompagnato costantemente da un ritrattista che aveva il compito di lasciare ai posteri un'iconografia del principe, e così valeva per tutta la dinastia. le macchine digitali di un tempo si chiamavano ritrattisti ed erano a forma di essere umano. una cosa invece che è rimasta sotto forma di essere umano così come allora, sono i raccontatori di storie, ancora non ne abbiamo inventati di digitali anche se, forse, qualche software esiste.
tutta questa eleganza, i nasi prominenti dei mezzi busti, i tessuti sfarzosi che erano stati inventati esattamente per poter poi usare la parola sfarzosi per descriverli- con tutto il corollario di opulent, sumptuous, princely- ebbero un effetto "elevante" su ivo che, quando uscì, camminava con il petto in fuori, degno e non curante dell'acqua che cadeva, mille gocce e mille persone in continum, un fiume verticale di acqua in cascata verso un fiume orizzontale di persone in movimento.
aveva fame, prese uno slice di margherita e rifiutò magnanimamente la bevanda free che andava avec, si rimise nel fiume ed un uomo barbuto gli mendicò aiuto, lui gli porse la margherita che stava per mangiare,l'uomo la prese riconoscente azzannandola di un colpo, Ivo si sentì un principe che concedeva qualcosa al popolo, si rimise le mani in tasca e si diresse sorridente ed affamato verso l'underground, lui, i suoi pensieri ed il suo essere principe della mandorla riccia.
La dinastia della mandorla riccia, una dinastia che vola low cost, si muove fra lavoretti e sussidi famigliari, quasi mai sussidi dello stato quantomeno italiano, usa la visa electron perché 10 euro in più per il pagamento on-line con visa classic stanno un pò sul cazzo, compra pacchetti di sigarette da 10, mette 5 euro di benzina e pensa di dover andare lontano, scopre prodotti validi dai nomi improbabili nei discounts, opta, se possibile, per il free riding in materia di trasporti pubblici, si ostina a chiedere lo sconto studenti anche se la card è vecchia di qualche anno, a volte bleffa sull'età per ricevere uno sconto su qualcosa e non disdegna la birra in lattina (chiara o scura), adora lo champagne, soprattutto quando è l'amico franco a portarne una bottiglia, ha ricevuto un'educazione cattolica ma in fondo non ci crede tanto, veste bene ed adora rimandare fino all'ultimo istante dell'ultimo momento.
se vi sentte in linea, la dinastia della mandorla riccia sarà felice di accogliervi nel suo albero genealogico : God saves us, God saves the Queen, God saves the curly almond!
lunedì 15 febbraio 2010
accordatore al seguito
abbiamo dei musts nelle tasche, ce li portiamo in giro senza saperlo neanche, si infilano fra le cuciture e li si ritrova per caso, come una banconota da 5 euro spiegazzata su se stessa. la prendi, la sistemi con le dita e la rimetti in tasca dove la potrai trovare, giusto qualche minuto dopo, per comprare le sigarette oppure, forse, dimenticartene nuovamente.
perché rifiutare le comodità?
dipendenza e coincidenza sono le nostre regine, ma predichiamo l'indipendenza e la programmazione. pretendiamo che la confusione sia il peperoncino della vita, ma nell'incertezza totale non ci sentiamo a nostro agio.
sono belle le statue, specie se di marmo bianco, esprimono eleganza, freschezza, purezza. in fin dai conti ci piace la nostra statua? ci piace l'idea di fermarsi dentro ad una forma? ci piace una forma?
non lo so, ma di sicuro non ci piace pensare molto e ci piacciono le frasi ad effetto, anche se non sappiamo esattamente di chi:
l'intenzione è una madre, la ragione è un figlio, l'intenzione è ciò che la madre pensa del figlio.
perché rifiutare le comodità?
dipendenza e coincidenza sono le nostre regine, ma predichiamo l'indipendenza e la programmazione. pretendiamo che la confusione sia il peperoncino della vita, ma nell'incertezza totale non ci sentiamo a nostro agio.
sono belle le statue, specie se di marmo bianco, esprimono eleganza, freschezza, purezza. in fin dai conti ci piace la nostra statua? ci piace l'idea di fermarsi dentro ad una forma? ci piace una forma?
non lo so, ma di sicuro non ci piace pensare molto e ci piacciono le frasi ad effetto, anche se non sappiamo esattamente di chi:
l'intenzione è una madre, la ragione è un figlio, l'intenzione è ciò che la madre pensa del figlio.
giovedì 11 febbraio 2010
Elementi di macroeconomia sociale della toilette
Come spesso succede quando hai da tener presente degli orari e dei lassi di tempo sufficientemente prudenziali che li accompagnino e che ti accompagnino durante gli spostamenti, ti ritrovi su dei mezzi di trasporto dovendo far fronte a delle improcrastinabili esigenze fisiologiche del tuo corpo.
Ebbene questa è stata la causa scatenante delle considerazioni che d’appresso seguiranno. Gli stimati lettori abbiano però la disponibilità di allargare le suddette considerazioni anche ai luoghi domestici, specie se di nuova fattura o, addirittura, ancora non finiti (in exercise for example salle de bain di casa appena costruita).
L’umanità, o almeno la civiltà occidentale, ha deciso di ridurre il diametro della circonferenza del cesso, da un tot è passato ad un tot meno 5 cm. Il risultato è che quando ci si siede sopra si sta stretti e, per gli appartenenti al sesso maschile, qualcosa urta.
Ma quali sono le motivazioni che hanno portato l’uomo occidentale a ridurre le misure standards del cesso? Non lo so ancora chiaramente, ma ci sto pensando e la cosa che in una scatola che sorvola i cieli d’europa ci sia un passeggero che nella testa ha come una nuvoletta a fumetto nella quale c’è un cesso che ha perso una taglia, mi fa sorridere mentre l’hostess mi dice che non posso andare alla toilette ,bloccandomi proprio davanti alla porta, per una turbolenza, neanche se mi stessi pisciando addosso chiedo? Neanche mi risponde lei brutta ed inflessibile senza accennare al ben che minimo sorriso (colgo l’occasione, visto che is è toccato il tema di dire che la storia delle hostess che sono fighe è definitivamente tramontata, le hostess non ci sono neanche più nei films porno).
Penso seriamente che il personale della ryanair venga addestrato per quattro anni insieme ai militari di Israele e, come i soldati israeliani, sarebbero capaci di accenderti il fuoco in una foresta bagnata da un temporale tropicale e, come rambo, saprebbero auto-suturarsi o etero-suturarti senza anestesia, disinfettandosi e ttandoti con le bottigliette di J&B che hanno a bordo.
Perché allora le dimensioni del cesso sono state ridotte? Perché i nuovi cessi prodotti sono più piccoli e proporzionalmente più piccoli nel senso che il cesso di un treno o di un aereo è piccolissimo e quello di un bagno nuovo è piccolo?
La mia risposta ha come base l’idea che, da qualche anno, si stia dedicando sempre meno spazio ai bisogni fisici: il minimo indispensabile o, ciò che rappresenta esattamente il suo contrario, se ne stia dando troppo: il lusso sfrenato ed inutile. I due estremi di questa idea sono giustificate dalla stessa ragione, solo che il limite verso l’alto si basa su un concetto assoluto: l’inutilità pomposa paga sempre di più; il limite verso il basso si basa su un concetto relativo: l’inutilità marginale non paga.
In sostanza, in conclusione ed in sintesi, se il cerchio del cesso è più piccolo perché si moltiplica per PGreco o per 2 volte PGreco un dato che è 5 centimetri o 2,5 centimetri più piccolo rispetto al passato, la causa è la stessa per la quale presto scomparirà, in termini globali, la middle class: il capitalismo sfrenato.
Ebbene questa è stata la causa scatenante delle considerazioni che d’appresso seguiranno. Gli stimati lettori abbiano però la disponibilità di allargare le suddette considerazioni anche ai luoghi domestici, specie se di nuova fattura o, addirittura, ancora non finiti (in exercise for example salle de bain di casa appena costruita).
L’umanità, o almeno la civiltà occidentale, ha deciso di ridurre il diametro della circonferenza del cesso, da un tot è passato ad un tot meno 5 cm. Il risultato è che quando ci si siede sopra si sta stretti e, per gli appartenenti al sesso maschile, qualcosa urta.
Ma quali sono le motivazioni che hanno portato l’uomo occidentale a ridurre le misure standards del cesso? Non lo so ancora chiaramente, ma ci sto pensando e la cosa che in una scatola che sorvola i cieli d’europa ci sia un passeggero che nella testa ha come una nuvoletta a fumetto nella quale c’è un cesso che ha perso una taglia, mi fa sorridere mentre l’hostess mi dice che non posso andare alla toilette ,bloccandomi proprio davanti alla porta, per una turbolenza, neanche se mi stessi pisciando addosso chiedo? Neanche mi risponde lei brutta ed inflessibile senza accennare al ben che minimo sorriso (colgo l’occasione, visto che is è toccato il tema di dire che la storia delle hostess che sono fighe è definitivamente tramontata, le hostess non ci sono neanche più nei films porno).
Penso seriamente che il personale della ryanair venga addestrato per quattro anni insieme ai militari di Israele e, come i soldati israeliani, sarebbero capaci di accenderti il fuoco in una foresta bagnata da un temporale tropicale e, come rambo, saprebbero auto-suturarsi o etero-suturarti senza anestesia, disinfettandosi e ttandoti con le bottigliette di J&B che hanno a bordo.
Perché allora le dimensioni del cesso sono state ridotte? Perché i nuovi cessi prodotti sono più piccoli e proporzionalmente più piccoli nel senso che il cesso di un treno o di un aereo è piccolissimo e quello di un bagno nuovo è piccolo?
La mia risposta ha come base l’idea che, da qualche anno, si stia dedicando sempre meno spazio ai bisogni fisici: il minimo indispensabile o, ciò che rappresenta esattamente il suo contrario, se ne stia dando troppo: il lusso sfrenato ed inutile. I due estremi di questa idea sono giustificate dalla stessa ragione, solo che il limite verso l’alto si basa su un concetto assoluto: l’inutilità pomposa paga sempre di più; il limite verso il basso si basa su un concetto relativo: l’inutilità marginale non paga.
In sostanza, in conclusione ed in sintesi, se il cerchio del cesso è più piccolo perché si moltiplica per PGreco o per 2 volte PGreco un dato che è 5 centimetri o 2,5 centimetri più piccolo rispetto al passato, la causa è la stessa per la quale presto scomparirà, in termini globali, la middle class: il capitalismo sfrenato.
domenica 7 febbraio 2010
che colore sei
scoprii che tutto era in vendita. nel senso che tutto l'arredamento si poteva comprare chiedendo informazioni al cameriere. mi era capitata la stessa cosa in un bar di Essaouira, marocco, lì si vendevano solo i quadri però e, forse, se non ricordo male, gli specchi nei quali era possibile ammirare o non sopportare il proprio volto o quello altrui sotto un numero indefinito di angolazioni (era ovviamente più interessante vedere che faccia avevi di spalle o di profilo o di 3/4 o qualsiasi altra angolazione diversa da quella frontale o profilo-destro-profilo-sinistro).
la mia consorte si interesso' ad una lampada, a mio parere neanche troppo bella, tuttavia se ne interessò. peccato, era di un tipo che era a nuova york e l'aveva parcheggiata lì per qualche mese, quando sarebbe tornato se la sarebbe ripresa, non era in vendita.
non riesco a far trasparire la rilassatezza e l'aria che scorreva in queste tre stanze, sala da the-ristorante-bar, ma vi posso assicurare che seduti su una poltroncina luigi XVI ad un tavolo di marmo un pò rotto e di legno che profumava di tempo, ci si sentiva fighi. accanto dei musicisti che parlavano di musica con vari accenti - ed è ovvio che se parli di musica in quel modo sei figo; non riuscirò mai a mettere lo stesso entusiasmo di chi parla dell'esecuzione della tal sonata mentre parlo del beneficio della remissione in termini, ma qua ho una mia teoria che se ci sarà tempo vi racconterò un giorno.
mentre mangiavo non guardavo di fronte a me, non guardavo nel piatto trasparente ed ampio, non guardavo fuori dal vetro nella strada diafana di un sole coperto da nuvole bianche. ad ore nove vi era una donna seduta da sola ad un piccolo tavolo nell'angolo, un vaso di fiori azzurri e vivi di un verde vivo che si aprivano come spaghetti gettati nella padella a modi mikado (shangai per gli italiani), capelli rossi e lunghi che cadevano sulle spalle insieme alle stoffe frou-frou che coprivano il suo corpo. in un primo momento mi attrasse il suo essere cromaticamente così variata, pensai per un istante che facesse parte dell'arredamento in vendita, poi notai che rideva di cuore e, mentre lo faceva, si copriva la bocca con il mouchoir per rispetto verso se stessa, non verso gli altri, questa è una sfumatura che notai ma che non riesco a spiegarvi, abbiate fede però.
mi capita a volte di ridere da solo, specie se ascolto con le cuffiette per strada od in mezzo alla gente una canzone che mi ricorda qualcosa, che mi trasmette felicità, ma non mi è ancora successo di essere così simpatico a me stesso da dovermi coprire educatamente la bocca quando rido, per rispett, verso me stesso.
sotto il tavolo della donna - che decisi di battezzare su due piedi la strega dei mille colori (strega-strega-dei-mille-colori-che-colore-vuoi?), personaggio che mi è sempre stato simpatico, è infatti inconciliabile l'idea di una strega cattiva ma colorota - aveva i piedi infilati in scarpe dalla zeppa consistente, con delle fibbie sopra il collo del piede, un orrore insomma, ma un orrore simpatico. dal melange di colori arrivava un messaggio visivo un pò viola ed un pò fluo e, mentre pensavo questo, lei ancora rideva, io ancora mangiavo e discutevo.
quando lei aveva ordinato due dessert io attaccavo con forza di volontà una côte de veau aux tomates confitès et trouffe. la creme brulée e l'ile flottante se le era fatte servire ai due lati del tavolo, una per lei e l'altra per lei, una per lei che rideva e l'altra per lei che rideva in silenzio.
finito il primo dessert si alzò, mastodontica sulle zeppe, cambiò posto per mangiare l'altro dessert. adesso l'altra rideva davvero, quella di prima rideva in silenzio.
rise ancora, finì, lasciò dei soldi sul tavolo ed andò via.
non avevo mai pensato alla possibilità di incontrare un giorno la strega dei mille colori, alla possibilità di vederla pronta per il reparto di geriatria.
Non avevo mai pensato alla possibilità di un mondo dove lei, insieme a qualcuno con tante braccia e tante mani così da essere capace di liberare più persone allo stesso tempo e che si chiami Libera Fratelli, a qualcun altro che assomigli ad un grande birillo da bowling e si chiami Piru-Piraru, insieme alla Mamma te li fiuri, a quella Maria il cui marito reclama ancora la gamba di legno dal profondo dell'oltretomba, ad un uomo scintillante con tutina dorata che si chiami 1-2-3 stella, un mondo a popolazione variabile secondo l'immaginazione di ognuno, in cui vivano in pace questi meravigliosi personaggi, indisturbati, godendosi una meritata pensione, con il diritto di farsi rivedere in giro nel mondo reale, a loro piacimento ed a quello di chi, fra di noi, riesce ancora a vederli.
la mia consorte si interesso' ad una lampada, a mio parere neanche troppo bella, tuttavia se ne interessò. peccato, era di un tipo che era a nuova york e l'aveva parcheggiata lì per qualche mese, quando sarebbe tornato se la sarebbe ripresa, non era in vendita.
non riesco a far trasparire la rilassatezza e l'aria che scorreva in queste tre stanze, sala da the-ristorante-bar, ma vi posso assicurare che seduti su una poltroncina luigi XVI ad un tavolo di marmo un pò rotto e di legno che profumava di tempo, ci si sentiva fighi. accanto dei musicisti che parlavano di musica con vari accenti - ed è ovvio che se parli di musica in quel modo sei figo; non riuscirò mai a mettere lo stesso entusiasmo di chi parla dell'esecuzione della tal sonata mentre parlo del beneficio della remissione in termini, ma qua ho una mia teoria che se ci sarà tempo vi racconterò un giorno.
mentre mangiavo non guardavo di fronte a me, non guardavo nel piatto trasparente ed ampio, non guardavo fuori dal vetro nella strada diafana di un sole coperto da nuvole bianche. ad ore nove vi era una donna seduta da sola ad un piccolo tavolo nell'angolo, un vaso di fiori azzurri e vivi di un verde vivo che si aprivano come spaghetti gettati nella padella a modi mikado (shangai per gli italiani), capelli rossi e lunghi che cadevano sulle spalle insieme alle stoffe frou-frou che coprivano il suo corpo. in un primo momento mi attrasse il suo essere cromaticamente così variata, pensai per un istante che facesse parte dell'arredamento in vendita, poi notai che rideva di cuore e, mentre lo faceva, si copriva la bocca con il mouchoir per rispetto verso se stessa, non verso gli altri, questa è una sfumatura che notai ma che non riesco a spiegarvi, abbiate fede però.
mi capita a volte di ridere da solo, specie se ascolto con le cuffiette per strada od in mezzo alla gente una canzone che mi ricorda qualcosa, che mi trasmette felicità, ma non mi è ancora successo di essere così simpatico a me stesso da dovermi coprire educatamente la bocca quando rido, per rispett, verso me stesso.
sotto il tavolo della donna - che decisi di battezzare su due piedi la strega dei mille colori (strega-strega-dei-mille-colori-che-colore-vuoi?), personaggio che mi è sempre stato simpatico, è infatti inconciliabile l'idea di una strega cattiva ma colorota - aveva i piedi infilati in scarpe dalla zeppa consistente, con delle fibbie sopra il collo del piede, un orrore insomma, ma un orrore simpatico. dal melange di colori arrivava un messaggio visivo un pò viola ed un pò fluo e, mentre pensavo questo, lei ancora rideva, io ancora mangiavo e discutevo.
quando lei aveva ordinato due dessert io attaccavo con forza di volontà una côte de veau aux tomates confitès et trouffe. la creme brulée e l'ile flottante se le era fatte servire ai due lati del tavolo, una per lei e l'altra per lei, una per lei che rideva e l'altra per lei che rideva in silenzio.
finito il primo dessert si alzò, mastodontica sulle zeppe, cambiò posto per mangiare l'altro dessert. adesso l'altra rideva davvero, quella di prima rideva in silenzio.
rise ancora, finì, lasciò dei soldi sul tavolo ed andò via.
non avevo mai pensato alla possibilità di incontrare un giorno la strega dei mille colori, alla possibilità di vederla pronta per il reparto di geriatria.
Non avevo mai pensato alla possibilità di un mondo dove lei, insieme a qualcuno con tante braccia e tante mani così da essere capace di liberare più persone allo stesso tempo e che si chiami Libera Fratelli, a qualcun altro che assomigli ad un grande birillo da bowling e si chiami Piru-Piraru, insieme alla Mamma te li fiuri, a quella Maria il cui marito reclama ancora la gamba di legno dal profondo dell'oltretomba, ad un uomo scintillante con tutina dorata che si chiami 1-2-3 stella, un mondo a popolazione variabile secondo l'immaginazione di ognuno, in cui vivano in pace questi meravigliosi personaggi, indisturbati, godendosi una meritata pensione, con il diritto di farsi rivedere in giro nel mondo reale, a loro piacimento ed a quello di chi, fra di noi, riesce ancora a vederli.
venerdì 5 febbraio 2010
la comunione
una domenica, come ogni domenica, aguinaldo almunya de araujo si recò ad ascoltare la funzione religiosa. era cattolico da sempre, possiamo dire che era stato l'unico caso di embrione battezzato al mondo, forse era stato battezzato anche prima di essere concepito, aldilà di qualunque problematica bioetica.
sul comodino affianco al letto del suo appartamento erano disposte in maniera ordinata, affianco all'abat-jour, la Bibbia usurata e la Harvard business review di novembre. lavorava nel back office di una banca, cercava di essere un buon cattolico ed un buon economista, aveva detto uscendo dalla chiesa ad una donna della sua stessa nazionalità.
Abelarda santos de la passion, cosi' si chiamava, costringeva i suoi piedi e le sue caviglie gonfie in un paio di scarpe che accennavano dei timidi tacchi e mostravano i costretti alluci verdi macchiati di smalto fucsia. i fianchi larghi iniziavano dove il grasso del tronco vi si posava arrotolandosi su se stesso, i capelli un pò arruffati, corti, la pelle rugosa. portava male i suoi anni, le macchiette micotiche sulle mani, gonfie anche loro, testimoniavano un lavorio costante di quegli arti.
mi occupo di pulizie in tutto il quartiere, aveva affermato ad aguinaldo almunya de araujo che, giovane e bello, ben profumato, la guardava con la nostalgia e la compassione con cui si guardano le donne che ti ricordano le figure femminili che ti hanno allevato sin da quando eri in fasce: i grossi seni, la temperatura corporea sotto i 36 gradi, gli avambracci uno più grosso dell'altro, un senso di femminilità che traspariva solo in certe espressioni di vergogna che si intravedevano dagli occhi, come qualcosa che risaliva fuori dall'acqua per prendere respiro ed evitare di affogare in quel mare di intraprendenza e praticità che la vita le aveva imposto.
abelarda gli faceva tornare in mente l'età delle prime comunioni, quell'avvicinarsi in fila davanti al sacerdote, la mano destra sotto e la sinistra sopra, a coppa, "amen" si doveva rispondere all'annuncio del prete sulla vera identità celata dietro al disco bianco. mettere in bocca l'ostia e tornare al proprio posto con espressione seria, perché così si doveva fare, mettersi in ginocchio e poggiare la fronte contro le mani giunte, gli occhi contratti nello sforzo del pentimento, in realtà non sapeva cosa si pensasse in quei momenti, non poteva a quell'età, cercava di imitare gli altri, soprattutto le donne anziane che avevano l'aria di sapere davvero cosa stessero facendo. in quei momenti lui non riusciva a pensare ad altro che a togliersi con la lingua l'ostia che si era incollata perfettamente al palato; alla fine si arrendeva, approfittava del momento in cui tutti guardavano dentro di loro per coprirsi la bocca con una mano e infilare l'indice dell'altra nella bocca e staccare l'ostia incollata sul palato. il tutto con espressione seria, intensa, da comunione.
più precisamente mi occupo di tenere pulite tutte le case delle donne che esercitano la professione più antica nel quartiere, aveva precisato con un certo tono di soddisfazione per le dimensioni della sua attività abelarda, facendo ritornare alla realtà aguinaldo che quasi sentiva ancora l'odore dell'incenso nelle narici e nelle orecchie il suono della campanella che annunciava il mistero della fede.
alla successiva domanda di un aguinaldo alla ricerca di dati più precisi, abelarda aveva risposto dettagliatamente che c'erano venti abitazioni, ma francamente non sapeva quante puttane. e per caso abelarda sapeva anche dirgli in quali palazzi si trovavano queste abitazioni che lei sicuramente teneva pulitissime? certamente che poteva, abelarda era una donna organizzata, toccava delle buone cifre mensili, cosa pensava?
una volta elencati i palazzi con l'ausilio dei nomi degli esercizi commerciali come punti di riferimento ed annesso spreco di vocali che accompagnavano le consonanti finali delle parole, aguinaldo capì che nel suo palazzo vi erano due abitazioni usate per accoppiamenti a pagamento, una delle due era esattamente al piano di sopra dal suo, ancora più esattamente sopra il suo appartamento.
la notizia lo inquietò. un certo tipo di pensieri incominciarono a farsi strada nella sua mente, fra il rosario della mattina e l'ingresso in ufficio, e poi, soprattutto, durante il tragitto di ritorno, dall'ufficio a casa. l'idea di poter incontrare la donna dell'appartamento di sopra lo metteva in agitazione.
dopo qualche settimana di esitazioni ed origliamenti, decise fermamente di andare a chiedere del sale alla donna di sopra, voleva vederla. era sera, poco prima di cena. montò le scale facendo i gradini tre alla volta ed arrivò innanzi alla porta. dall'altro lato giungevano dei suoni, dei gemiti che volevano essere di piacere, veri o finti poco importava.
aguinaldo si pietrificò, il pugno a pochi millimetri dalla porta, senza bussare, la bocca semi aperta e secca, le pulsazioni che acceleravano e qualcosa che si gonfiava nei pantaloni.
il desiderio si affacciò prorompente nel suo corpo. si sarebbe dato un'ora e mezzo e sarebbe ritornato su; per il sale non faceva niente, la scatola a casa era piena. e come l'avrebbe messa con dio, la bibbia, il peccato, la comunione, l'economia, la madonna e tutto il resto? forse, e lo pensò davvero, vergognandosi un pò, non faceva niente, dopotutto anche di loro ne aveva le scatole piene e, per concludere degnamente il suo ragionamento, si disse quella frase che mette a tacere ogni tipo di coscienza, anche la più restia ai compromessi, "solo una volta, solo per questa volta, poi non lo rifarò più".
sul comodino affianco al letto del suo appartamento erano disposte in maniera ordinata, affianco all'abat-jour, la Bibbia usurata e la Harvard business review di novembre. lavorava nel back office di una banca, cercava di essere un buon cattolico ed un buon economista, aveva detto uscendo dalla chiesa ad una donna della sua stessa nazionalità.
Abelarda santos de la passion, cosi' si chiamava, costringeva i suoi piedi e le sue caviglie gonfie in un paio di scarpe che accennavano dei timidi tacchi e mostravano i costretti alluci verdi macchiati di smalto fucsia. i fianchi larghi iniziavano dove il grasso del tronco vi si posava arrotolandosi su se stesso, i capelli un pò arruffati, corti, la pelle rugosa. portava male i suoi anni, le macchiette micotiche sulle mani, gonfie anche loro, testimoniavano un lavorio costante di quegli arti.
mi occupo di pulizie in tutto il quartiere, aveva affermato ad aguinaldo almunya de araujo che, giovane e bello, ben profumato, la guardava con la nostalgia e la compassione con cui si guardano le donne che ti ricordano le figure femminili che ti hanno allevato sin da quando eri in fasce: i grossi seni, la temperatura corporea sotto i 36 gradi, gli avambracci uno più grosso dell'altro, un senso di femminilità che traspariva solo in certe espressioni di vergogna che si intravedevano dagli occhi, come qualcosa che risaliva fuori dall'acqua per prendere respiro ed evitare di affogare in quel mare di intraprendenza e praticità che la vita le aveva imposto.
abelarda gli faceva tornare in mente l'età delle prime comunioni, quell'avvicinarsi in fila davanti al sacerdote, la mano destra sotto e la sinistra sopra, a coppa, "amen" si doveva rispondere all'annuncio del prete sulla vera identità celata dietro al disco bianco. mettere in bocca l'ostia e tornare al proprio posto con espressione seria, perché così si doveva fare, mettersi in ginocchio e poggiare la fronte contro le mani giunte, gli occhi contratti nello sforzo del pentimento, in realtà non sapeva cosa si pensasse in quei momenti, non poteva a quell'età, cercava di imitare gli altri, soprattutto le donne anziane che avevano l'aria di sapere davvero cosa stessero facendo. in quei momenti lui non riusciva a pensare ad altro che a togliersi con la lingua l'ostia che si era incollata perfettamente al palato; alla fine si arrendeva, approfittava del momento in cui tutti guardavano dentro di loro per coprirsi la bocca con una mano e infilare l'indice dell'altra nella bocca e staccare l'ostia incollata sul palato. il tutto con espressione seria, intensa, da comunione.
più precisamente mi occupo di tenere pulite tutte le case delle donne che esercitano la professione più antica nel quartiere, aveva precisato con un certo tono di soddisfazione per le dimensioni della sua attività abelarda, facendo ritornare alla realtà aguinaldo che quasi sentiva ancora l'odore dell'incenso nelle narici e nelle orecchie il suono della campanella che annunciava il mistero della fede.
alla successiva domanda di un aguinaldo alla ricerca di dati più precisi, abelarda aveva risposto dettagliatamente che c'erano venti abitazioni, ma francamente non sapeva quante puttane. e per caso abelarda sapeva anche dirgli in quali palazzi si trovavano queste abitazioni che lei sicuramente teneva pulitissime? certamente che poteva, abelarda era una donna organizzata, toccava delle buone cifre mensili, cosa pensava?
una volta elencati i palazzi con l'ausilio dei nomi degli esercizi commerciali come punti di riferimento ed annesso spreco di vocali che accompagnavano le consonanti finali delle parole, aguinaldo capì che nel suo palazzo vi erano due abitazioni usate per accoppiamenti a pagamento, una delle due era esattamente al piano di sopra dal suo, ancora più esattamente sopra il suo appartamento.
la notizia lo inquietò. un certo tipo di pensieri incominciarono a farsi strada nella sua mente, fra il rosario della mattina e l'ingresso in ufficio, e poi, soprattutto, durante il tragitto di ritorno, dall'ufficio a casa. l'idea di poter incontrare la donna dell'appartamento di sopra lo metteva in agitazione.
dopo qualche settimana di esitazioni ed origliamenti, decise fermamente di andare a chiedere del sale alla donna di sopra, voleva vederla. era sera, poco prima di cena. montò le scale facendo i gradini tre alla volta ed arrivò innanzi alla porta. dall'altro lato giungevano dei suoni, dei gemiti che volevano essere di piacere, veri o finti poco importava.
aguinaldo si pietrificò, il pugno a pochi millimetri dalla porta, senza bussare, la bocca semi aperta e secca, le pulsazioni che acceleravano e qualcosa che si gonfiava nei pantaloni.
il desiderio si affacciò prorompente nel suo corpo. si sarebbe dato un'ora e mezzo e sarebbe ritornato su; per il sale non faceva niente, la scatola a casa era piena. e come l'avrebbe messa con dio, la bibbia, il peccato, la comunione, l'economia, la madonna e tutto il resto? forse, e lo pensò davvero, vergognandosi un pò, non faceva niente, dopotutto anche di loro ne aveva le scatole piene e, per concludere degnamente il suo ragionamento, si disse quella frase che mette a tacere ogni tipo di coscienza, anche la più restia ai compromessi, "solo una volta, solo per questa volta, poi non lo rifarò più".
mercoledì 3 febbraio 2010
una frase in una mano e la tazzina nell'altra
mi sono svelgiato sbarbato e tranquillo.
per ritardare di qualche tempo l'inizio vero e proprio della giornata, mi sono dedicato al caffé ed alla rassegna stampa digitale. e fin qua, direi, non fa una piega.
nella testa ha iniziato a frullarmi la trama di qualcosa, un primo input per poi mettere giu' cio' che è comunemente chiamato post.
poi, mentre scorrevo le pagine dei siti internet dei giornali, sono rimasto abbastanza allibito:
(Ucciso e decapitato nell'armeria
Delitto "horror" nella Como 'bene'
Il titolare del negozio ha ammazzato a colpi di pistola l'amico che voleva rilevare l'esercizio. Un appuntamento, poi il raptus omicida. La testa della vittima trovata nel forno di una pizzeria.)
e mi sono detto genuinamente e forse anche banalmente: ma c'é davvero bisogno di invertare una storia?
quando ti accorgi concretamente della concretezza di certe frasi, del tipo che la realtà supera l'immaginazione, realizzi che non ha niente a che vedere con il fatto di dirle semplicemente. quando ti accorgi della realtà di una frase, ne apprezzi davvero la pesantezza, il suo essere qua fuori nel nostro mondo, la puoi quasi toccare, tenerla in braccio,impugnarla con la mano che non ha la tazzina di caffé fra l'indice ed il pollice.
pensi che ci siano frasi reali con l'impugnatura per destrorsi, per sinistrorsi, per ambidestri. frasi reali di polistirolo, frasi reali dalla consistenza di un insieme di scogli che proteggono i costoni di una spiaggia, frasi reali inconsistenti, frasi reali fritte in olio di girasole o in olio d'oliva, frasi al forno, frasi reali nude e frasi reali mascherate. frasi reali metropolitane ricoperte di una patina untuosa di smog e frasi reali di campagna ricoperte da residui di carbone e terra fina, frasi reali in diverse lingue.
credo di aver capito perché, certi giorni, non riesci proprio a spiegarti la causa dell'acido lattico nei muscoli delle braccia, negli avambracci, nel collo o sulla schiena.
altri giorni invece non ti spieghi i lividi sul corpo, solo che questa é un'altra storia.
per ritardare di qualche tempo l'inizio vero e proprio della giornata, mi sono dedicato al caffé ed alla rassegna stampa digitale. e fin qua, direi, non fa una piega.
nella testa ha iniziato a frullarmi la trama di qualcosa, un primo input per poi mettere giu' cio' che è comunemente chiamato post.
poi, mentre scorrevo le pagine dei siti internet dei giornali, sono rimasto abbastanza allibito:
(Ucciso e decapitato nell'armeria
Delitto "horror" nella Como 'bene'
Il titolare del negozio ha ammazzato a colpi di pistola l'amico che voleva rilevare l'esercizio. Un appuntamento, poi il raptus omicida. La testa della vittima trovata nel forno di una pizzeria.)
e mi sono detto genuinamente e forse anche banalmente: ma c'é davvero bisogno di invertare una storia?
quando ti accorgi concretamente della concretezza di certe frasi, del tipo che la realtà supera l'immaginazione, realizzi che non ha niente a che vedere con il fatto di dirle semplicemente. quando ti accorgi della realtà di una frase, ne apprezzi davvero la pesantezza, il suo essere qua fuori nel nostro mondo, la puoi quasi toccare, tenerla in braccio,impugnarla con la mano che non ha la tazzina di caffé fra l'indice ed il pollice.
pensi che ci siano frasi reali con l'impugnatura per destrorsi, per sinistrorsi, per ambidestri. frasi reali di polistirolo, frasi reali dalla consistenza di un insieme di scogli che proteggono i costoni di una spiaggia, frasi reali inconsistenti, frasi reali fritte in olio di girasole o in olio d'oliva, frasi al forno, frasi reali nude e frasi reali mascherate. frasi reali metropolitane ricoperte di una patina untuosa di smog e frasi reali di campagna ricoperte da residui di carbone e terra fina, frasi reali in diverse lingue.
credo di aver capito perché, certi giorni, non riesci proprio a spiegarti la causa dell'acido lattico nei muscoli delle braccia, negli avambracci, nel collo o sulla schiena.
altri giorni invece non ti spieghi i lividi sul corpo, solo che questa é un'altra storia.
martedì 2 febbraio 2010
riflessione alimentare di un secondo giorno di mezzo inverno
non c'é nulla in natura che sia commestibile ed allo stesso tempo non sappia piu' di niente di quanto non sappia di niente il tofu.
lunedì 1 febbraio 2010
rose rosse per te ho comprato stasera
la cosa che saltava di piu' agli occhi era un mazzo di 9 rose rosse dal gambo piuttosto lungo adagiato sul tavolo. la tovaglia e le stoviglie bianche, una candela dalla fiamma tremolante. sedevano uno di fronte all'altra un' avvenente donna formosa e castana, ed un uomo ben vestito che, nonostante la barba in ritardo di un paio di giorni, lo si poteva ancora definire come distinto.
si guardavano negli occhi per pochi secondi alla volta, poi ora le rose ora la candela costituivano una buona scusa per distogliere gli sguardi. i due consumavano0 un'entrée senza troppe pretese composta da foglie verdi di varie piante, il decanter pieno di vino rosso lasciava inendere i piatti successivi a base di carne.
si intravedeva tra i due commensali una certa emozione, una certa curiosità che sarebbe sfuggita all'osservatore distratto (o che si fa semplicemente i cazzi suoi)il quale avrebbe catalogato le due figure come coppia nel pieno di una prima cena romantica.
era palese che si piacevano, manifestavano la loro soddisfazione per il fatto di essersi trovati davanti a consumare una cena prelibata (a parte l'insalata) e per il molto-piu'-che-potenziale fatto di finire fra le lenzuola dopo.
lei indossava un tailleur nero, i capelli castani e lucenti, le labbra carnose e gli occhi di ghiaccio. lui esattamente come ci si puo' immaginare un uomo d'affari distinto, fate voi.
agli altri tavoli altre coppie che nei momenti di silenzio talvolta si deconnettevano uno dall'altra, ed allora gli sguardi dei vari lui erano intenti ad osservare l'uomo distinto per cercare di cogliere ed imitare la sicurezza nei movimenti, e gli sguardi delle varie lei contavano le rose sul tavolo dell'altra lei e ne invidiavano la fortuna.
posato il fazzoletto affianco al piatto l'uomo si alzo' con un gesto ovviamente distinto per andare a prendere una telefonata. la donna ne approfitto' per armeggiare con il suo telefonino dove lampeggiava una chiamata: "mamma".
Uomo distinto: ciao amore tutto bene?
Voce dall'altro lato del telefono: ciao caro si tutto bene, come va la tua cena, ti disturbo?
Donna Castana: Ciao mamma, quante volte ti ho detto di non chiamarmi mentre lavoro?
Madre:Lavori?
D.C.: si insomma quando sono impegnata.
Madre: Allora ti disturbo, sei gia' a cena?
D.: si ma è andato in bagno, è bellissimo stasera..
M.:voglio proprio vedere quando me lo presenterai, sono mesi oramai che va avanti questa storia delle cene e sempre in posti diversi, glielo hai detto che non hai ancora il permesso di soggiorno?
D.:mamma non ti preoccupare, un giorno te lo presentero', adesso devo chiudere che sta tornando.
U.d.:no per niente, ho abbandonato il tavolo per rispondere, ma sembra stia andando tutto bene, il cliente è d'accordo..i bambini dormono gia'?
V.A.L.T.: si li ho appena messi a letto, volevo giusto salutarti, vengo a prenderti domani in aeroporto, buon proseguimento.
U.d.: ciao cara buona notte, ti amo.
la cena scivolo' via, i vestiti scivolarono via.
la mattina dopo, nel piu' classico dei risvegli in una camera d'albergo vicino all'aeroporto, la nostra castana si risveglio', di fronte al letto il carrello del servizio in camera con colazione continental. sul comodino affianco alle 9 rose una busta voluminosa: questo cliente si era comportato davvero bene. il contenuto di quella busta le sarebbe bastato per pagare l'affito di quel mese e, forse, anche a comprare quella borsa che tanto le piaceva, magari in saldo.
si guardavano negli occhi per pochi secondi alla volta, poi ora le rose ora la candela costituivano una buona scusa per distogliere gli sguardi. i due consumavano0 un'entrée senza troppe pretese composta da foglie verdi di varie piante, il decanter pieno di vino rosso lasciava inendere i piatti successivi a base di carne.
si intravedeva tra i due commensali una certa emozione, una certa curiosità che sarebbe sfuggita all'osservatore distratto (o che si fa semplicemente i cazzi suoi)il quale avrebbe catalogato le due figure come coppia nel pieno di una prima cena romantica.
era palese che si piacevano, manifestavano la loro soddisfazione per il fatto di essersi trovati davanti a consumare una cena prelibata (a parte l'insalata) e per il molto-piu'-che-potenziale fatto di finire fra le lenzuola dopo.
lei indossava un tailleur nero, i capelli castani e lucenti, le labbra carnose e gli occhi di ghiaccio. lui esattamente come ci si puo' immaginare un uomo d'affari distinto, fate voi.
agli altri tavoli altre coppie che nei momenti di silenzio talvolta si deconnettevano uno dall'altra, ed allora gli sguardi dei vari lui erano intenti ad osservare l'uomo distinto per cercare di cogliere ed imitare la sicurezza nei movimenti, e gli sguardi delle varie lei contavano le rose sul tavolo dell'altra lei e ne invidiavano la fortuna.
posato il fazzoletto affianco al piatto l'uomo si alzo' con un gesto ovviamente distinto per andare a prendere una telefonata. la donna ne approfitto' per armeggiare con il suo telefonino dove lampeggiava una chiamata: "mamma".
Uomo distinto: ciao amore tutto bene?
Voce dall'altro lato del telefono: ciao caro si tutto bene, come va la tua cena, ti disturbo?
Donna Castana: Ciao mamma, quante volte ti ho detto di non chiamarmi mentre lavoro?
Madre:Lavori?
D.C.: si insomma quando sono impegnata.
Madre: Allora ti disturbo, sei gia' a cena?
D.: si ma è andato in bagno, è bellissimo stasera..
M.:voglio proprio vedere quando me lo presenterai, sono mesi oramai che va avanti questa storia delle cene e sempre in posti diversi, glielo hai detto che non hai ancora il permesso di soggiorno?
D.:mamma non ti preoccupare, un giorno te lo presentero', adesso devo chiudere che sta tornando.
U.d.:no per niente, ho abbandonato il tavolo per rispondere, ma sembra stia andando tutto bene, il cliente è d'accordo..i bambini dormono gia'?
V.A.L.T.: si li ho appena messi a letto, volevo giusto salutarti, vengo a prenderti domani in aeroporto, buon proseguimento.
U.d.: ciao cara buona notte, ti amo.
la cena scivolo' via, i vestiti scivolarono via.
la mattina dopo, nel piu' classico dei risvegli in una camera d'albergo vicino all'aeroporto, la nostra castana si risveglio', di fronte al letto il carrello del servizio in camera con colazione continental. sul comodino affianco alle 9 rose una busta voluminosa: questo cliente si era comportato davvero bene. il contenuto di quella busta le sarebbe bastato per pagare l'affito di quel mese e, forse, anche a comprare quella borsa che tanto le piaceva, magari in saldo.
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