domenica 7 febbraio 2010

che colore sei

scoprii che tutto era in vendita. nel senso che tutto l'arredamento si poteva comprare chiedendo informazioni al cameriere. mi era capitata la stessa cosa in un bar di Essaouira, marocco, lì si vendevano solo i quadri però e, forse, se non ricordo male, gli specchi nei quali era possibile ammirare o non sopportare il proprio volto o quello altrui sotto un numero indefinito di angolazioni (era ovviamente più interessante vedere che faccia avevi di spalle o di profilo o di 3/4 o qualsiasi altra angolazione diversa da quella frontale o profilo-destro-profilo-sinistro).

la mia consorte si interesso' ad una lampada, a mio parere neanche troppo bella, tuttavia se ne interessò. peccato, era di un tipo che era a nuova york e l'aveva parcheggiata lì per qualche mese, quando sarebbe tornato se la sarebbe ripresa, non era in vendita.

non riesco a far trasparire la rilassatezza e l'aria che scorreva in queste tre stanze, sala da the-ristorante-bar, ma vi posso assicurare che seduti su una poltroncina luigi XVI ad un tavolo di marmo un pò rotto e di legno che profumava di tempo, ci si sentiva fighi. accanto dei musicisti che parlavano di musica con vari accenti - ed è ovvio che se parli di musica in quel modo sei figo; non riuscirò mai a mettere lo stesso entusiasmo di chi parla dell'esecuzione della tal sonata mentre parlo del beneficio della remissione in termini, ma qua ho una mia teoria che se ci sarà tempo vi racconterò un giorno.

mentre mangiavo non guardavo di fronte a me, non guardavo nel piatto trasparente ed ampio, non guardavo fuori dal vetro nella strada diafana di un sole coperto da nuvole bianche. ad ore nove vi era una donna seduta da sola ad un piccolo tavolo nell'angolo, un vaso di fiori azzurri e vivi di un verde vivo che si aprivano come spaghetti gettati nella padella a modi mikado (shangai per gli italiani), capelli rossi e lunghi che cadevano sulle spalle insieme alle stoffe frou-frou che coprivano il suo corpo. in un primo momento mi attrasse il suo essere cromaticamente così variata, pensai per un istante che facesse parte dell'arredamento in vendita, poi notai che rideva di cuore e, mentre lo faceva, si copriva la bocca con il mouchoir per rispetto verso se stessa, non verso gli altri, questa è una sfumatura che notai ma che non riesco a spiegarvi, abbiate fede però.

mi capita a volte di ridere da solo, specie se ascolto con le cuffiette per strada od in mezzo alla gente una canzone che mi ricorda qualcosa, che mi trasmette felicità, ma non mi è ancora successo di essere così simpatico a me stesso da dovermi coprire educatamente la bocca quando rido, per rispett, verso me stesso.

sotto il tavolo della donna - che decisi di battezzare su due piedi la strega dei mille colori (strega-strega-dei-mille-colori-che-colore-vuoi?), personaggio che mi è sempre stato simpatico, è infatti inconciliabile l'idea di una strega cattiva ma colorota - aveva i piedi infilati in scarpe dalla zeppa consistente, con delle fibbie sopra il collo del piede, un orrore insomma, ma un orrore simpatico. dal melange di colori arrivava un messaggio visivo un pò viola ed un pò fluo e, mentre pensavo questo, lei ancora rideva, io ancora mangiavo e discutevo.

quando lei aveva ordinato due dessert io attaccavo con forza di volontà una côte de veau aux tomates confitès et trouffe. la creme brulée e l'ile flottante se le era fatte servire ai due lati del tavolo, una per lei e l'altra per lei, una per lei che rideva e l'altra per lei che rideva in silenzio.
finito il primo dessert si alzò, mastodontica sulle zeppe, cambiò posto per mangiare l'altro dessert. adesso l'altra rideva davvero, quella di prima rideva in silenzio.

rise ancora, finì, lasciò dei soldi sul tavolo ed andò via.

non avevo mai pensato alla possibilità di incontrare un giorno la strega dei mille colori, alla possibilità di vederla pronta per il reparto di geriatria.

Non avevo mai pensato alla possibilità di un mondo dove lei, insieme a qualcuno con tante braccia e tante mani così da essere capace di liberare più persone allo stesso tempo e che si chiami Libera Fratelli, a qualcun altro che assomigli ad un grande birillo da bowling e si chiami Piru-Piraru, insieme alla Mamma te li fiuri, a quella Maria il cui marito reclama ancora la gamba di legno dal profondo dell'oltretomba, ad un uomo scintillante con tutina dorata che si chiami 1-2-3 stella, un mondo a popolazione variabile secondo l'immaginazione di ognuno, in cui vivano in pace questi meravigliosi personaggi, indisturbati, godendosi una meritata pensione, con il diritto di farsi rivedere in giro nel mondo reale, a loro piacimento ed a quello di chi, fra di noi, riesce ancora a vederli.

1 commento:

Anonimo ha detto...

grazie..... bella storia!!!